Cinque terre, good bye

Cinque terre, good bye

di To.Far.

Da quando è nata questa rivista ha avuto una sezione consistente dedicata alle Cinque Terre e a tutti gli eventi che, a livello istituzionale o spontaneo, politico o sociale, vi sono avvenuti da oltre dieci anni. Ce ne siamo occupati con sguardo professionale, ironico, rattristato, deluso, raramente compiaciuto. D’ora in poi, qualcun altro se ne occuperà; come scelta di vita i miei interessi riguarderanno altri territori ed altre situazioni – spero – di maggiore soddisfazione.

Come commiato, però, vorrei proporre questa riflessione, presentata ad un convegno  qualche mese fa, e qui resa attuale a seguito di successivi avvenimenti.

“Quando il turismo esplode e il territorio implode: il caso Cinque Terre”

Una identità socio-territoriale forte presuppone l’esistenza di un tessuto di relazioni istituzionali, sociali ed ecologiche funzionanti ed inserite in un contesto – storico e geografico – ben connotato, in grado di contrastare l’appiattimento derivante dalla globalizzazione. Sulla carta le Cinque Terre parrebbero rispondere a questi requisiti. Sono micro-comunità chiuse, prevalentemente contadine, o di pescatori, i cui prodotti hanno in genere circolato in ambito locale. Una storia povera, in molti sensi. Mentre la loro geografia è quella “verticale”, di elementi montuosi a picco sul mare. Per poter essere coltivate, queste alture sono state “terrazzate”. (FOTO1 e 2) I terrazzamenti, dunque, sono state forzature operate dall’uomo sulla natura, un paesaggio “artificiale” di secoli fa ma che, per poter restare in piedi, richiede il mantenimento di queste opere del passato. Se trascurate, il collasso è assicurato.

D’altra parte, elementi storico-geografici di questo tipo sono ricorrenti in diverse realtà territoriali del nostro Paese (es. Trentino, Valtellina). Anche le modalità di coltivazione del suolo e  le caratteristiche di comunità chiuse sono spesso simili alle Cinque Terre; però, questi territori non sono così devastati dagli eventi naturali e dai flussi turistici come accade qui, guardando foto ed immagini sul Web e sui vari media. Occorre quindi interrogarsi sugli elementi che contribuiscono a snaturare l’immagine di partenza di questi luoghi.

L’identità territoriale

Va ricordato che l’identità di un territorio può attualmente definirsi “forte” se:

  1. Riesce a riconfigurarsi nell’era del Web secondo le caratteristiche di un’economia “virtuale”
  2. Presenta caratteri di resilienza di fronte a trasformazioni fisiche, ambientali e socio-economiche
  3. Riesce a valorizzare il tipo di turismo che lo frequenta evitando l’omologazione
  4. Fa’ sì che nel proprio spazio territoriale siano in sintonia gli abitanti permanenti e quelli temporanei.

Se il primo punto lo è, i successivi tre punti non risultano tanto efficaci  da poter garantire al territorio delle Cinque Terre un’identità in grado di reggere i flussi dell’internazionalizzazione turistica che l’attraversano. Vediamo perché:

Gli elementi storici connotativi di maggior respiro – i manufatti della creatività umana – sono prevalentemente i santuari riconducibili a ciascuna delle comunità locali (Montenero per Riomaggiore, Volastra per Manarola, San Bernardino per Corniglia, Reggio per Vernazza, Soviore per Monterosso) dedicati al culto della Madonna (Nera). Risalgono attorno all’anno Mille e si collocano sulla via dei Santuari, appunto, sentieri situati a mezzacosta, che attraversano la Liguria in direzione di Santiago de Compostela (FOTO 4). A parte Monterosso, che per conformazione e collocazione territoriale aveva acquisito le caratteristiche delle limitrofe località costiere, come Levanto, centri plurisecolari, ricchi di manufatti di prestigio e di scambi commerciali, gli altri borghi – più distanti ed arroccati – ospitavano economie agricole o di pescatori limitate al proprio ambito. Elementi storici di rilievo, a parte le torri di guardia ed alcuni oratori e chiese, sono scarsi, e le tracce celtiche che riconducono ad un passato remoto non bastano come collante identitario.

La principale caratteristica geografica è che i collegamenti tra queste antiche comunità, un tempo talmente chiuse da parlare dialetti diversi, sono appunto “verticali”, dal mare al monte. Le comunicazioni “orizzontali”, tra villaggio e villaggio, erano affidate alle barche e alle mulattiere a mezza costa. Successivamente nella prima metà del Novecento anche alla ferrovia. (FOTO7) E’ dunque la ferrovia la vera strada orizzontale d’accesso, ed anche alcuni noti sentieri (es. via dell’Amore) sono il risultato delle mine fatte brillare per permettere agli operai di proseguire lungo il tracciato ferroviario. La ferrovia del Levante ligure è però solo parte del tracciato che congiunge la costa tirrenica a Genova e poi al Ponente ligure: il traffico dei treni e dei carri merci attraversava le Cinque Terre come altri luoghi più importanti dal punto di vista del trasporto. Tutte le successive opinabili scelte fatte in campo ferroviario risentono della difficoltà del tracciato (quasi tutto in galleria), della limitazione dei binari paralleli (non più di 2), del successivo arretramento di tracciato perché l’originale era a picco sul mare. Contemporaneamente alla crescita turistica non solo delle Cinque Terre ma anche della Riviera di Levante non è stata pianificata una precisa distinzione tra treni ad elevata percorrenza e treni a carattere locale.

La strada di mezzacosta

Solo attorno agli anni Ottanta è stata completata una strada a mezza costa, in precedenza in terra battuta, che collega La Spezia a Levanto, dotata di discese verso i vari borghi delle Cinque Terre. I criteri di collegamento rispondevano anche agl’interessi di chi possedeva determinati terreni lungo il tracciato. Quindi è stata sotto numerosi aspetti “raffazzonata” e successivamente trascurata nella manutenzione. L’alluvione del 25 ottobre 2011 ne ha fatto crollare alcuni tratti che per effetto Domino sono piombati su Vernazza con le note conseguenze (FOTO 9-10).  E, sempre dall’alto, le frane si sono anche abbattute sul Sentiero Azzurro interrompendo forse per sempre il tratto Manarola Corniglia (FOTO 13) e, a distanza di un anno (settembre 2012), sulla famosa Via dell’Amore, tuttora chiusa (FOTO 17).  Storicamente, non possono essere definiti casi isolati. Se si raffrontano queste due serie di foto che riguardano l’alluvione e le frane su Monterosso: nel 2011 ma anche nel 1966 (FOTO 22-23-25-26) si notano le ricorrenze e, di conseguenza, l’assenza di misure intraprese per contrastare la “fragilità” del territorio.. Se consultate l’archivio della nostra rivista potrete meglio comprendere, dai numerosi articoli scritti da geologi, le caratteristiche che ne  rendono così preoccupante la struttura. Ma troverete anche come da tempo questi geologi e studiosi del territorio si siano preoccupati di mettere in guardia le istituzioni. L’inettitudine, il pressapochismo, lo storno di fondi, le truffe sono sotto gli occhi di chi legge la cronaca giudiziaria. Un atteggiamento pervicace che – nonostante denunce, condanne giudiziarie ed amministrative – non sembra interrompersi.

I quattro punti nello specifico

Dalla nascita del Parco Nazionale nel 2000 a tutt’oggi, il vanto di chi amministra il  territorio può limitarsi al primo punto. Grande copertura mediatica, utilizzo continuo dei social media e dei supporti multimediali, le Cinque Terre virtuali sono cliccate, trasmesse, ritoccate e confezionate ad arte. Troppo spesso snaturando la realtà per chi poi vi sbatte contro. La copertura mediatica di un prodotto patinato può funzionare a distanza ma poi si rischia un brusco risveglio quando – sognando di ammirare un paesaggio immacolato – lo si ritrova affollato e sporco. Capita quando si va in gondola nei canali di Venezia, capita anche qui lungo la costa. Sono arrivate le mega-navi coi croceristi a decine di migliaia …e  Venezia come le Cinque Terre collassano!

Per quanto riguarda il secondo punto: la resilienza. Come può adattarsi questo territorio, tendenzialmente chiuso e limitato, alle trasformazioni complesse che la globalizzazione comporta? Ricordiamo che se per secoli le alture incombenti sul mare sono state “addomesticate” coi terrazzamenti, successivamente sono state abbandonate, prima con l’emigrazione poi con l’esplosione del business turistico. Gli abitanti si sono disinteressati di quanto avveniva sulla loro testa, occupati a curare i loro guadagni. Hanno venduto cantine come fossero appartamenti di lusso, oppure le hanno fatte diventare ristoranti, bar, bazar. Sono diventati ricchi e spesso il territorio in alto è diventato la loro  discarica. (FOTO 28). I terrazzamenti hanno ceduto all’assalto della boscaglia e di una pineta non autoctona. I muretti franano a valle, come s’è visto, anche se da circa un ventennio le istituzioni blaterano sulla necessità di ripristinarli. Di fatto, il recupero dei  terreni incolti e dei mestieri perduti è lasciato alla buona volontà di alcuni, anziani e giovani, che comprendono come un duro lavoro comporti anche soddisfazione economica: così ritorna la viticoltura, ma solo a macchie di leopardo. (FOTO 30)

I punti terzo e quarto riguardano gli aspetti di armonizzazione e caratterizzazione turistica dei luoghi che occorrerebbe collegare insieme –da parte di istituzioni locali e popolazione – per raggiungere l’identità auspicata. Le Cinque Terre scoperte negli anni Sessanta da una ristretta élite (prevalentemente milanese/progressista) sono riuscite a conservare fino agli anni Novanta ospiti e turisti “discreti”, che si adeguavano alle caratteristiche del territorio o ne conoscevano le specificità. Usavano un determinato tipo di abbigliamento “montanaro”, si muovevano con attenzione sui sentieri a picco sul mare, attuavano forme di socializzazione culturale valorizzando gli elementi di reciprocità.

Poi la globalizzazione – e soprattutto scelte fameliche fatte dagli amministratori, Parco in primis – le hanno travolte. (FOTO 31)

I turisti mordi-e-fuggi, quelli che sbarcano dalle mega navi da crociera o dai pullman che li vomitano nei borghi, visitano questi luoghi senza averne consapevolezza, calpestano sentieri aspri coi tacchi a spillo e vi ruzzolano, pagano per percorrerli valutandone il valore in base all’immaginario del Web. E intanto gl’introiti copiosi di tutti questi anni non sono stati destinati, se non in minima parte e con conseguenze spesso illecite, alla tutela del territorio.

La gestione del Parco segue l’ottica di sempre: massimizzare i ricavi e minimizzare i costi di gestione, oppure dirottare finanziamenti per vetrine formali ma assai povere di sostanza. Altrimenti come si spiega l’idea balzana di ricercare una soluzione per contenere i flussi turistici, affidando un’indagine estiva a studenti dell’università di Bologna? Oppure obiettare al coinvolgimento della popolazione residente (circa 4.500 persone) ad un iter partecipativo di discussione e verifica delle scelte, in quanto presenterebbe costi insostenibili? Salvo poi organizzare l’ennesimo inutile convegno  su “Paesaggio terrazzato e dissesto geo-idrogeologico nell’area delle Cinque Terre: dal passato al presente” (Vernazza, maggio 2016) dove presidente e direttore del parco erano assenti, in quanto “richiamati con urgenza a Roma al ministero dell’ambiente”, e dov’era altrettanto assente il sindaco di Vernazza, nonché padrone di casa, “impegnato sul lavoro”. Assenze che confermano l’inutilità di queste parate.

Nel frattempo questa estate 2016 vede i residenti esasperati per le strade intasate, i commercianti che lamentano il flusso turistico che non porta soldi ma intanto ampliano l’occupazione del suolo pubblico, i pendolari che trovano scomodo e costoso il nuovo sistema ferroviario mangiasoldi (5 terre express a 4 euro a fermata, da borgo a borgo) e la strada provinciale, quella di mezza costa, che collega le Cinque Terre a Levanto e alla Spezia è ancora interrotta dal 2011 nel tratto soprastante Vernazza ed è stata temporaneamente chiusa  per nuova frana tra Riomaggiore e Manarola. L’antica strada bianca del Telegrafo, che permetterebbe di raggiungere La Spezia attraverso Montenero e Biassa, non ha ricevuto alcuna manutenzione dal 2000, è in parte franata o inagibile, ad ennesima conferma dell’incuria istituzionale verso il territorio, i residenti ed i visitatori.  E non basta l’orgoglio identitario sui social network a costruire un’identità …. (FOTO 34).

 

Riferimenti bibliografici

http://www.liguritutti.it/2016/05/12/lombra-di-disneyland-sulle-cinque-terre/

http://www.informazionesostenibile.info/4378/parco-cinque-terre-il-polverone-dopo-lalluvione/

http://www.informazionesostenibile.info/3445/cinque-terre-alla-ricerca-della-normalita-perduta/

http://www.informazionesostenibile.info/7088/parlare-daltro-precipitando/

http://www.informazionesostenibile.info/6624/progetto-ilex-prevenire-le-alluvioni-riqualificando-il-territorio/

 

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redazione

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