L’industria italiana di componentistica nucleare e il suo asservimento all’estero

 

 

Prof. Marcello Vecchi

 

 

L’Italia ha avuto in passato (prima del referendum abrogativo del nucleare del 1987) una forte industria di componenti nucleari (attenzione: non di processo di sistema, ma di componenti puri e propri, -il processo infatti ”lega” tutti i componenti in un sistema atto a funzionare-) ed una ricerca sul nucleare allineata allo standard europeo. I governi precedenti al referendum abrogativo hanno sempre ritenuto infatti l’industria italiana nucleare strategica per il Paese.

 

Ditte manifatturiere come la Breda, la Belleli, l’Ansaldo, la Tosi, di montaggi come la Cmc, l’Astaldi, elettriche come la Gavazzi etc, unite a centri di ricerca come Enea, Infn, Cnr, Universita’, qualche laboratorio dell’Enel o Fiat centro ricerche, assicuravano un robusto sviluppo e supporto a questo sistema. Ed infatti il sistema nucleare italiano ha partecipato con grande successo anche e soprattutto a commesse estere (sempre di componenti), sia di impianti francesi che tedeschi, sia americani che asiatici. In una economia globalizzata il rapporto qualita’-prezzo offerto dalle ditte italiane era concorrenziale con quello delle industrie estere, tenendo conto che i componenti di una centrale nucleare devono essere progettati e costruiti da industrie qualificate in standard normativi anche molto stringenti.

 

Le centrali nucleari in Italia erano a quel tempo in numero esiguo rispetto a quelle presenti all’ estero : Trino Vercellese (reattore acqua pressurizzata licenza Westinghouse, 272 MW, entrata in funzione nel 1964, e che fino al 1987 ha fornito 26 miliardi di Kwh), Garigliano (reattore acqua bollente licenza General Electric, 160 MW, entrata in funzione nel 1964, fino al 1987 ha fornito 26 miliardi di Kwh), Latina (reattore a gas di progettazione inglese, 210 MW, entrata in funzione nel 1963, fino al 1987 ha fornito 26 miliardi di Kwh), Caorso (reattore acqua bollente licenza General Electric, 840 MW, entrata in funzione nel 1981, prodotti 29 miliardi di Kwh fino al 1987), ed infine i costruendi impianti (poi fermati dopo il referendum) di Montalto di Castro (reattore acqua bollente licenza General Electric,  1100 MW), e Brasimone (reattore di ricerca PEC, raffreddato a sodio, 100 MW termici di potenza, non progettato per la produzione elettrica).

Le centrali nucleari italiane non erano molte, in pratica solo la centrale di Caorso ha funzionato in maniera continuativa ed avrebbe potuto fornire una potenza elettrica ragguardevole nel tempo.

 

Le industrie di componentistica italiane quindi, dopo un tirocinio e un asservimento a ditte USA, avevano raggiunto punti di eccellenza, ma soltanto nella progettazione e costruzione di componenti del reattore, lavorando quasi unicamente su commesse estere, avendo tuttavia un bacino di ordini, seppur limitati, nazionali.

 

Di conseguenza la parte piu’ nobile della progettazione delle centrali nucleari (che e’ poi quella di sistema o di processo) e’ sempre stata ed e’ rimasta per le centrali italiane, relativamente  all’isola nucleare e non alla parte convenzionale dell’impianto, saldamente nelle mani dell’architetto industriale americano, General Electric o Westinhouse.

Così l’intera isola nucleare delle centrali italiane su citate e’ stata consegnata ”chiavi in mano” da industrie di processo estere (USA), compresa l’isola nucleare della centrale in costruzione di Montaldo di Castro (1980). L’unica centrale che e’ stata progettata interamente da industrie italiane (Nira), sia a livello di componentistica che a quello di ingegneria di processo e’ stato il reattore di ricerca PEC. Di non trascurabile importanza tuttavia e’ stato l’aiuto della tecnologia francese per la risoluzione dei numerosi problemi tecnici incontrati. La ditta Nira (Ansaldo) quindi ha partecipato successivamente alla progettazione della centrale Superphenix in Francia (1200 MW raffreddamento a sodio), distinguendosi anche per l’apporto fornito nel campo dell’ingegneria di sistema. La centrale Superphenix e’ stata spenta a causa di un incidente nel 1997.

 

Prima del 1987 quindi l’Italia era molto attiva anche nel campo delle collaborazioni internazionali.

 

Tuttavia il PEC e’ stato un “reattorino di ricerca”. Per quanto riguarda le centrali nucleari atte alla produzione di energia elettrica, nessuna ditta italiana ha mai potuto discutere o cambiare qualche cosa in Italia riguardo al processo dell’impianto dell’isola nucleare. Quindi disegni, materiali, progetto e conseguente responsabilita’ erano tutti demandati alle ditte americane (General Electric o Westinhouse) o inglesi (Impianto di Latina).

Si pensi che durante il funzionamento delle centrali italiane  c’era un sopraintendente americano che approvava le operazioni proposte dal capo centrale dell’Enel riguardo a che cosa si doveva fare o alla sequenza operativa sulla centrale nucleare e che aveva la responsabilita’ di tutto.

 

Questo e’ avvenuto fino al referendum abrogativo nel 1987.

 

Dopodiché, l’industria, la ricerca, le collaborazioni internazionali  e ogni altro sistema nucleare in Italia sono stati praticamente accantonati. Si pensi che nemmeno le Universita’ hanno piu’ un corso di Ingegneria nucleare.

In particolare l’industria e’ stata riconvertita e dalla capacita’ di costruire componentistica per due-tre centrali nucleari l’anno (somma delle commesse estere e nazionali) si e’ passati allo smantellamento delle linee di produzione, (alcune delle quali mitiche, come la linea generatori di vapore nucleari in Breda). Non solo si sono smantellate le linee, ma anche le maestranze sono state instradate su nuovi progetti non nucleari : tutti i servizi di quality assurance, quality control, servizio di progettazione componenti in analisi termico-strutturale (l’ufficio stress-analisis della Breda era famoso e forniva consulenze persino alle case madri Westinghouse e General Electric), i montaggi in clean condition, i locali della clean condition, un modo di produrre dove la parte di documentazione e la parte esecutiva erano non lontane dalla perfezione, sono stati soppressi. Si noti che il modo di lavorare dell’industria nucleare (anche in Italia) era stato assimilato da quella aereonautica in una sforzo duranto anni ed anni.

 

Quindi in Italia, non potendo vivere solo di commesse estere, ed essendo la produzione italiana cancellata dal referendum, e’ stata decretata la fine del nucleare.

 

Non cosi’ negli altri Paesi : in USA poiche’ la General Electric e la Westinghouse, pur riducendo i programmi, hanno tenuto le posizioni, anche basandosi su commesse militari; in Europa, dove anche nel campo nucleare si e’ assistito alla cooperazione tra Francia e Germania (Alstom, Siemens-Aeg- Telefunken, KWU, CEA, etc) e allo sviluppo prima di un reattore franco-tedesco (l’impianto Konvoi), poi dell’impianto prototipo EPR (European Pressure Reactor), attualmente l’ impianto nucleare al mondo piu’ avanzato a livello di progettazione e venduto successivamente in Finlandia, Cina, oltre che in Francia e Germania, etc.

 

L’impianto tipo, proposto a cominciare dagli anni ‘80 da questo consorzio franco tedesco, ossia l’impianto Konvoi (centrali standard nucleari da 1300 MW a normativa tedesco-francese) prendeva in considerazione un impianto (lay-out) di due-tre generazioni piu’ avanzate rispetto alla progettazione (e quindi rispetto alla sicurezza) dell’allora costruenda centrale nucleare italiana di Montaldo di Castro, ove, per ragioni politiche, non era possibile affrancarsi dalla progettazione di sistema americana. E siamo a meta’ anni 80!

Successivamente agli anni ’80, l’impianto EPR (derivato in parte dal Konvoi) ha  perfezionato ulteriormente i criteri di progettazione e costruzione, arrivando ad offrire un impianto nucleare davvero straordinario, anche dal punto di vista della sicurezza.

 

Prima di riaprire il discorso nucleare, valgono alcune considerazioni :

per prima cosa una centrale nucleare ha un tempo di costruzione medio di dieci anni, l’EPR circa 7. Poi bisognerebbe ripartire con tutto il sistema industriale accantonato e convertito. E per il ripristino del sistema industriale, anche se tutte le competenze fossero disponibili subito, l’industria avrebbe bisogno di investimenti : tradotto in pratica l’industria non puo’ non domandare grandi finanziamenti al Governo, a fronte di un proprio investimento massiccio per la sua anche parziale riconversione al nucleare. Ed il Governo deve  chiedersi :

-quante centrali nucleari sono previste?-.

Siccome una centrale nucleare (taglia base 1000 MW) costa circa 3 miliardi di euro (6000 miliardi delle vecchie lire), per la costruzione di un programma credibile di cinque-sei centrali nucleari da 1000 MW nei prossimi  anni sarebbe necessario da subito un finanziamento stimato di 25-30 miliardi di euro, considerando le riconversioni o ricerche in appoggio (normalmente stimate dell’ordine della meta’ del finanziamento della centrale nucleare stessa). Detto finanziamento, distribuito anche su un arco dei sette anni di costruzione a fronte della pura costruzione dell’impianto, e’ molto ingente. Ed e’ un finanziamento infruttuoso per la durata di circa 7-10 anni. Puo’ permettersi l’Italia nelle attuali condizioni economiche un lusso di questa portata?

E quindi la domanda successiva e’ una logica conseguenza : come si fa a convincere un sistema di industrie a riconvertirsi al nucleare assicurando un bacino di commesse totale di sole cinque-sei centrali nucleari per i prossimi anni (dieci o piu’)? La riconversione, spalmata su questo esiguo numero di centrali, farebbe lievitare i costi a livelli improponibili, rispetto alla concorrenza estera, le cui industrie sono gia’ ”pronte” al carico delle commesse.

Quindi non si vede altra soluzione che fare costruire queste centrali (ed anche i loro componenti) all’estero, in Europa, in USA o in Asia.

Ed e’ quello che ipotizzano i politici che propongono un ritorno al nucleare immediato : poiche’ di impianti europei non se ne parla nemmeno, dato il rapporto preferenziale tra Italia ed USA proposto dai suddetti politici, comprare in USA una serie di centrali che saranno edificate in Italia esattamente come nei paesi in via di sviluppo.

 

Concludendo : se con l’industria nucleare a livello pre-referendum eravamo, rispetto agli USA e all’estero, in una posizione accettabile, anche se lontana da quelle di Francia Germania o Regno Unito, come saremmo ora con l’industria nucleare in queste condizioni? Qualche seppur fievole voce in capitolo i nostri ingegneri (Enel, Enea, Enea-Disp, etc.), prima del referendum la avevano, soprattutto facendo leva sulla normativa italiana o la normativa speciale dei terremoti e quindi l’inserimento dei carichi relativi nella progettazione dell’impianto, o le regole di sicurezza relative alle leggi italiane… ma oggi?

 

Altro aspetto molto importante : si deve assicurare alla popolazione italiana un minimo di sicurezza basata su uno standard italiano (o almeno europeo) e non asservirsi ad un sistema USA come e’ accaduto per la Union Carbide in India.

Nell’industria aereonautica purtroppo e’ successo un fatto analogo.

Il governo Berlusconi rifiuto’ nel 2000 la partecipazione italiana al consorzio Airbus (europeo) preferendo la collaborazione con l’industria aereonautica USA. Su questa decisione dette le dimissioni l’allora  Ministro degli Esteri, Ruggiero.

Oggi i successi del consorzio dell’Airbus (superamento per numero di ordini e fatturato della Boeing, maxicommessa relativa agli aerei cisterna delle forze armate americane proprio in concorrenza con le ditte americane, progettazione e costruzione dell’aereo A380, l’aereo piu’ grande al mondo, a due piani, etc.) dovrebbero fare riflettere e proiettare per lo meno una luce piu’ reale sullo sviluppo dell’industria nucleare in Italia e le sue collaborazioni internazionali.

 

 

 

Foto tratte da: Focus e Termometro Politico

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redazione

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