La mitigazione del rischio geomorfologico ed idraulico

La mitigazione del rischio geomorfologico ed idraulico

di Luca Falconi (GSF)

Le minacce di origine naturale per la sicurezza del territorio rappresentano un problema diffuso a livello globale, con cui ogni comunità si confronta quotidianamente. Una stima effettuata dalla compagnia tedesca di assicurazioni Munich Re sul numero di frane e inondazioni (hydrological phenomena) avvenute negli ultimi decenni, mostra come il trend sia in aumento a livello globale, passando da 120 eventi nel 1980 a 280 nel 2012 (fig. 1). Le elaborazioni della compagnia tedesca, ripresi da Nature nel 2012, sottolineano che anche i danni sono in aumento e che, più dei cambiamenti climatici, l’origine dell’incremento delle perdite è maggiormente connesso con i cambiamenti socio-demografici.

Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile fissati dalle Nazioni Unite, relativamente al tema della sicurezza territoriale (Obiettivo 11/Città e comunità sostenibili), indicano la necessità di rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili. UNISDR ha tracciato il percorso (Hyogo 2005-2015, Sendai 2015-2030) che la comunità internazionale dovrebbe seguire nell’ambito dei rischi naturali, ribadendo che:

  • gli investimenti in prevenzione permettono di evitare perdite molto maggiori; 
  • è opportuno gestire il rischio piuttosto che i disastri; 
  • gli obiettivi di sviluppo sostenibile non sono raggiungibili senza la riduzione dei danni da fenomeni naturali. 

Le dinamiche socio-economiche dell’ultimo secolo hanno decisamente contribuito ad aggravare lo stato di salute del nostro pianeta e a rendere ancor più complessa l’interazione fra insediamenti antropici e territorio. Nei primi anni 2000, la ineluttabilità della convivenza con i rischi naturali, soprattutto con quelli legati ai cambiamenti climatici, si è resa maggiormente evidente che nel passato. Conseguentemente si sono fatte largo anche le politiche per la Disaster Risk Reduction (DRR) e la promozione del concetto di resilienza, anche negli strumenti normativi. La  necessità generale di conseguire un maggior equilibrio tra uomo e ambiente ha guidato gli organismi sovranazionali quali le Nazioni Unite e la Comunità Europea, a spostare gradualmente l’enfasi dalla reazione all’azione preventiva. L’incremento della resilienza del territorio è diventato il nuovo paradigma con cui declinare la gestione del rischio e il filo rosso che unisce le diverse misure di prevenzione e mitigazione necessarie alla società contemporanea per affrontare i diversi rischi cui è esposta.

Gli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico sono generalmente distinti in strutturali (riprofilature, drenaggi, muri, argini, casse di espansione, briglie, ecc.) e non strutturali (sistemi di monitoraggio e allerta, pianificazione territoriale/urbanistica, normativa tecnica, piani di protezione civile, sensibilizzazione, delocalizzazione). La prospettiva comunitaria sul tema della gestione del rischio è diretta alla promozione di un maggior equilibrio tra l’uso dei due approcci . 

Una delle chiavi per una prevenzione efficace e sostenibile è la partecipazione attiva delle comunità e il fattore culturale gioca un ruolo di elevatissima importanza nel tema della sicurezza. Inconsapevolezza e fatalismo sono aspetti culturali che hanno un forte peso nella scelta delle misure da adottare da parte di una comunità. L’approccio negativo che ne deriva può essere mutato attraverso robuste campagne di sensibilizzazione in una maggiore consapevolezza e capacità di affrontare adeguatamente i rischi da parte dei soggetti esposti. È indispensabile per questo investire nella sensibilizzazione e nell’inclusione dei cittadini nella gestione dei rischi territoriali, attraverso programmi di informazione e formazione di carattere divulgativo e tecnico-scientifico in merito alle criticità e ai rischi presenti sul territorio ed alle norme comportamentali da seguire per fronteggiare eventi avversi sia in fase ordinaria che emergenziale.

Altro aspetto strategico è la salute dell’economia locale, che in relazione alle opere di mitigazione deve guardare oltre al settore delle costruzioni e puntare alla riconversione delle aree montane e golenali attraverso il recupero delle attività agro-forestali. Gli interventi strutturali, caratterizzati tipicamente da soluzioni ingegneristiche tradizionali (grey solutions), manifestano infatti notevoli limiti in termini di efficacia, costi e capacità di adattamento al contesto naturale e non costituiscono più un riferimento univoco nell’identificazione delle risposte al dissesto idrogeologico. Al contrario, sono le soluzioni di adattamento ai rischi caratterizzate da una forte componente “naturale” (nature-based solutions) a prendere un ruolo di primo piano rispetto all’uso di opere di difesa passive, maggiormente invasive e onerose. In questo quadro, le infrastrutture verdi (green infrastructures, GI) sono riconosciute come una risposta efficace e auspicabile alla mitigazione dei rischi geomorfologico e idraulico. Tali soluzioni, oltre a favorire la convivenza con gli eventi naturali più estremi e l’adattamento ai cambiamenti climatici in corso, sembrano essere in grado di sostenere la crescita economica (green and blue growth), creare posti di lavoro e migliorare il benessere sociale. In questo quadro, l’incremento della resilienza come azione di mitigazione ed adattamento ai rischi naturali si basa sia sulla riscoperta di usi e tecniche tradizionali, utilizzati nella fase pre-industriale della nostra società, ma anche sulle tecnologie più avanzate. Lo sviluppo di Infrastrutture Verdi, ad esempio, ha la possibilità di coniugarsi con la promozione di processi produttivi sostenibili in grado di ripristinare la “redditività” della manutenzione dei versanti e dei corsi d’acqua. Esempi di interventi in questo senso possono essere:

  • La Filiera recupero di biomassa, produzione di energia e mitigazione del rischio. È un approccio già applicato nel territorio ligure e che prende inizio dalla rimozione di necromassa in alveo (concausa di alluvioni), secondo principi di tutela dell’ecosistema, e si conclude con la destinazione della biomassa raccolta ad impianti di (micro)co-generazione. In questa maniera, promuovendo dinamiche socio-economiche positive, è possibile contribuire allo sviluppo di un circolo virtuoso attraverso il recupero di tecniche e metodologie tradizionali e ai più avanzati criteri di tutela della biodiversità.
  • Il recupero e la manutenzione di aree agricole abbandonate a scopo produttivo. L’obiettivo di questo tipo di azioni  è quello di riattivare pratiche di uso agricolo integrandole con funzioni sociali, culturali, educative, di tutela del territorio, dell’ambiente e del paesaggio. La tutela ed il ripristino dei terrazzamenti, in particolare, è un’azione i cui principali vantaggi si possono riassumere in: ripristino delle attività storiche agricole ad alto valore aggiunto; forte riduzione dell’erosione del suolo e dell’instabilità dei versanti; miglioramento dell’efficienza idrologica, ecologica e strutturale; salvaguardia paesaggistica anche a fini turistici. L’onere di questa tipologia di interventi può essere sostenuto dal ripristino e/o continuazione di coltivazioni di pregio (DOP e IGP) sulle aree acclivi. 

Ora che la fase di crescita economica più intensa della società occidentale appare terminata, è il momento di incrementare la resilienza attraverso azioni concrete di mitigazione ed adattamento, avviando una di quelle diverse grandi opere di cui il territorio ha realmente bisogno. Il quadro di azioni tese al raggiungimento di un modello di sviluppo più equilibrato tra uomo e ambiente appare fortemente impegnativo e ramificato ma solo affrontando il tema in maniera sistemica si potrà superare la situazione generale di incompatibilità tra le politiche di sviluppo socio-economico fino ad oggi adottate e le dinamiche proprie dell’ambiente naturale.

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redazione

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