Panigaglia, lascia o raddoppia?

Panigaglia, lascia o raddoppia?

di William Domenichini

rigassificatore-panigaglia“Non abbiamo intenzione di investire in rigassificatori in Italia, ce ne guardiamo bene. Abbiamo dei tetti antitrust, non possiamo aumentare la nostra presenza, anzi dobbiamo e vogliamo ridurla. Non avrebbe senso arrivare in Italia con gas liquido”. Con queste parole l’a.d. di Eni, Paolo Scaroni è intervenuto nel corso dell’assemblea degli azionisti del gruppo ENI (MF, 30 aprile 2009), confermando che la questione energetica italiana (o meglio globale), e di conseguenza la partita sui rigassificatori, è una disequazione molto semplice: Ambiente, Lavoro e Informazione valgono meno della speculazione.

La fondamentale mancanza o manipolazione della variabile “Informazione”, l’assoluta assenza di interesse per la variabile “Ambiente” e la totale strumentalizzazione della variabile “Lavoro” costituiscono gli elementi della disequazione, favoriti da una propaganda di parte che porta ad eludere domande, che per lo più diventano retoriche, a vantaggio di un unico elemento: il profitto.

Ma andiamo con ordine. A Panigaglia non c’è solo un rigassificatore ma, all’oggi, l’unico rigassificatore operativo in tutto il paese: circa 3,5 mld di mq di gas (sui complessivi 80 mld del fabbisogno nazionale) reperito in per lo più da Algeria, Nigeria, Spagna, Trinidad & Tobago, e circa 90 lavoratori che operano in un impianto costruito negli anni ’60 nel golfo dei Poeti, tra i borghi delle Grazie e Fezzano.

Il pomo della discordia è il suo raddoppio (o quasi triplicamento): un progetto di aumento delle potenzialità attuali che prevede il passaggio da 3,5 a 8 mld di mq di gas all’anno, che non prevede un piano d’emergenza esterno disposto dalla normativa sulle industrie a rischio di incidente rilevante, nessun dettaglio sui termini della bonifica dei fondali dovuta al dragaggio dell’area interessata dalla movimentazione della navi gasiere (dai 2 ai 3 milioni di mq di fondale asportato per consentire il transito alle gasiere che arrivano a 145.000 mq di gas) e una totale incongruenza con i tre livelli di pianificazione urbanistica:

  1. il Piano Territoriale di Coordinamento Paesaggistico della Regione Liguria prevede interventi che “non comportino aumento della capacità di stoccaggio esistente“ (provvedimento Regione Liguria protoc. N. 153980/2674);
  2. il Piano Territoriale di Coordinamento provinciale della Spezia fissa addirittura “al 21 Maggio 2013 “ i termini della “validità della concessione relativa all’esercizio dell’impianto.”;
  3. il Piano Urbanistico Comunale vigente destina l’area della baia, occupata dalla Snam, a zona industriale (D1), nella quale non risulta ammessa espansione delle attrezzature e degli impianti esistenti.

mapparigassificatori-italiaAltro elemento nodale è l’impatto occupazionale dell’impianto: la preoccupazioni di lavoratori e lavoratrici riguardo al loro futuro sono legittime, ma fino ad oggi tale elemento è sempre stato marginale: negli accordi stipulati nel 1994, e ribaditi nel 1996, venivano stabiliti un minimo di 150 unità lavorative dirette e nel 2002 le parti sociali sottoscrivono unilateralmente un nuovo accordo occupazionale che porta a circa 100 unità lavorative le presenze in stabilimento.

Ora tenendo presente che il progetto d’ampliamento produrrà all’incirca 5/6 nuovi posti di lavoro si desume la dimensione del problema, utilizzato più come deterrente piuttosto che come reale questione,  perlopiù disattesa quando veniva posta all’ordine del giorno.

Ai tanti dati corrispondono altrettanti dubbi: possibile che l’unica strada di sopravvivenza dei lavoratori sia il raddoppio? Alla luce delle recenti dichiarazioni, parrebbe che i veri oppositori alle nuove infrastrutture siano gli stessi fautori (Scaroni docet), forse perchè hanno intravisto più remunerative vie di profitto.

Tuttavia vale la pena porsi ancora altre domande (retoriche): perché, a partire dal governo Berlusconi, non vi è ombra di un piano energetico nazionale in cui si dica di quanta energia abbiamo bisogno? E perché nessuno dice quanta energia da fonti rinnovabili potrebbe essere prodotta a parità di investimenti su impianti per lo più inutili se non a fini speculativi?

mappa gasdotti italiaIn fondo più del 40% del gas in Italia è consumato per uso domestico, “disperso” nelle abitazioni mal costruite e riscaldate (o refrigerate) con impianti obsoleti. Non sarebbe meglio porsi il problema di come sprecare meno energia piuttosto che produrne di più?

E’ evidente che c’è bisogno di serietà anche e soprattutto quando si parla di energia, non certo di strumentalizzazioni; serietà che troviamo difficile scorgere all’orizzonte se non nelle pieghe di una società civile sempre più isolata ed orfana.

Ecco perché occorrono più che mai buon senso, razionalità e verità sulla reale necessità di costruire impianti che, secondo queste analisi, risultano utili solo alle operazioni speculative dei grandi monopolisti italiani (e non), a danno del nostro territorio e con la connivenza di un’informazione parziale, propagandistica e manipolante. Le risposte si trovano indagando sullo stato reale delle cose, ponendosi domande, ragionando su tutte le alternative possibili.

Immagini tratte da: geopolitica.info – blogspot.com – ecoalfabeta.blogosfere.it – nuke.dg-solutions.it

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William Domenichini

William Domenichini

Nato alla Spezia nel 1978, è dipendente di azienda. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura,, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano "Fulmine è oltre il ponte" (Ed. Marotta&Cafiero)..

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