Rinaturare la natura: per aiutarla ad aiutarci

Rinaturare la natura: per aiutarla ad aiutarci

intervista di Marco Menichetti all’ingegner Maurizio Bacci

Esondazioni, smottamenti e cedimenti del terreno si sono ripetuti con frequenza negli ultimi mesi in varie zone del Paese, dalla Sicilia alla Liguria, passando per la Campania e la Toscana, solamente per citare gli episodi più rilevanti che, purtroppo, sono stati accompagnati da lutti e gravissimi danni economici.
C’è chi se la cava parlando di fatalità. Qualcun altro, più seriamente, suggerisce connessioni e similitudini con quanto sta avvenendo nell’intero Pianeta, anche a causa dei cambiamenti climatici in corso.
Dopo i ripetuti appelli lanciati dai vertici della Protezione Civile, dobbiamo anche interrogarci sulle cause strettamente collegate alle condizioni in cui è stato ridotto il territorio italiano, indicando soluzioni e rimedi efficaci e risolutivi anche sul medio-lungo periodo.
Ne abbiamo parlato con Maurizio Bacci, il primo ingegnere ambientale laureatosi in Italia, nel 1986, membro per diversi anni della Commissione Nazionale di Valutazione Ambientale delle grandi opere presso il Ministero dell’’Ambiente e che è da sempre impegnato in progetti di riqualificazione fluviale.
Ecco cosa ci ha detto in proposito.

Ingegner Bacci, che idea si è fatto sulle cause delle esondazioni in Toscana, le ultime di una lunga serie avvenute negli ultimi tempi in Italia?

La causa principale è l’elevata antropizzazione di un territorio che, per sua naturalità, funziona da bacino scolante dell’importante sistema idrografico Apuane-Garfagnana-Versilia. In Toscana, come nel resto d’Italia, spesso si continua a costruire anche in aree ad elevata pericolosità idraulica, confidando poi di metterle in sicurezza con opere di innalzamento degli argini e con la costrizione dei fiumi in alvei sempre più stretti.
Le concause più significative sono l’artificializzazione del reticolo idrografico – con opere idrauliche convenzionali e la rimozione di vegetazione ed elementi di diversità morfologica -, un uso del suolo che ne riduce la capacità di assorbimento e di rallentamento idraulico e l’utilizzo delle aree naturalmente esondabili, a cui si aggiunge l’incremento delle piogge e degli eventi intensi dovuti ai mutamenti climatici.

Quali sono i costi che stiamo tutti subendo?

Se per costi si intende il denaro speso per riparare i danni e manutenere il territorio, questi costi sono rilevanti, dell’ordine di decine di milioni di euro all’anno. Il problema più serio è che si continua ad agire dopo l’emergenza, moltiplicando all’infinito gli interventi di soccorso e alimentando un flusso di denaro in uscita dalla casse dello Stato che continuerà ad ingrossarsi anche in futuro.
Si fa poco e si investe poco a livello di prevenzione e di riorganizzazione socio-territoriale, con opere durature e che prevedono minori costi di manutenzione, un minor numero di interventi di ripristino e con effetti limitati sull’ambiente.
A tutto ciò, poi, dobbiamo aggiungere i costi indiretti, relativi al degrado paesaggistico-ambientale e quantificabili anche in termini di riduzione della qualità della vita.

Sono questi dei segnali di un fenomeno ben più ampio di degrado del territorio e di assenza di una politica efficace di prevenzione?

E’ chiaro che i casi di oggi non costituiscono un problema isolato, ma sono un esempio di come sia tipicamente gestito il territorio in Italia.
Già da vent’anni – con la legge quadro sulla difesa del suolo, la n. 183/89 – è stato dato avvio, in linea teorica, ad un nuovo approccio, basato sulla programmazione e su criteri lungimiranti di intervento. In realtà, sebbene qualche passo avanti sia stato fatto, ha ancora prevalso il sistema di interessi legato allo sviluppo economico fine a se stesso, assieme ad una cultura ancorata alle solite logiche delle grandi opere infrastrutturali.

Anche nel settore della manutenzione molto spesso si opera in maniera inadeguata. Quando si interviene sugli argini, ad esempio, si dovrebbe valutare il danno dei tagli a raso, sia per il fiume che per gli argini stessi; bisognerebbe invece gestire la vegetazione con tecniche alternative, tagliando dove serve e lasciando ciò che è necessario.

Avere cura del territorio e prevenire i rischi idrogeologici è possibile? Quali sono gli impegni che il governo, le regioni e le istituzioni locali dovrebbero adottare?

Avere cura del territorio non solo è possibile, ma conviene in tutti i sensi alla comunità, ai cittadini e alle stesse istituzioni. Numerosi studi, ma anche molte applicazioni, effettuati soprattutto all’estero, dimostrano in modo inconfutabile quanto sia valido un approccio più attento alle dinamiche naturali e che punti alla manutenzione “leggera” e alla prevenzione.
Deve essere urgentemente attuata una politica che preveda nuovi spazi per i fiumi, anche attraverso delocalizzazioni e assicurazioni per chi si trova a vivere in aree a rischio. In altri paesi europei, come l’Inghilterra o la Svizzera, esiste la formula per cui se si vuole vivere in una determinata area si deve pagare un’assicurazione che copra dal rischio di esondazione, rendendo di fatto poco appetibili da un punto di vista edificatorio le aree a più alto rischio idraulico.
Per fortuna, negli ultimi anni, qualcosa si è mosso anche qui da noi. Il CIRF, Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale – l’associazione di cui sono fra i fondatori – da oltre dieci anni opera in tal senso, documentando e promuovendo le nuove buone pratiche, a livello pianificatorio, progettuale, gestionale, formativo e culturale. E’ in questo senso che anche gli enti preposti dovrebbero agire: avviando studi e progetti pilota che coinvolgano nuove professionalità, e non solo i soliti ingegneri idraulici, poiché il problema è di carattere multicriteriale e quindi multidisciplinare.
La cosa più importante, però, è che le istituzioni si mettano in testa di voler superare il perverso meccanismo dello sfruttamento antropico del suolo a fini speculativi o puramente di ricavo economico.

Gli interventi di rinaturazione possono offrire un contributo efficace per migliorare la situazione? Ci sono leggi, risorse e programmi di azione che puntano su questo tipo di interventi?

La rinaturazione è necessaria poiché siamo giunti a un forte squilibrio del funzionamento del sistema naturale, che quindi “si sfoga” in modo incontrollabile e imprevisto. La rinaturazione del sistema territorio ci serve per “aiutare la natura ad aiutarci”.
Dobbiamo quindi modificare l’atteggiamento nei confronti del sistema naturale, passando dalla difesa della natura all’alleanza con la natura. Rinaturare significa anzitutto ripristinare il funzionamento del sistema ecologico in modo tale che esso riconquisti la capacità di “assorbire” la forza degli eventi, che altrimenti si sfogherebbero in modo incontrollato. Un esempio è l’incentivazione della aree di laminazione dei fiumi, da tutelare e ripristinare laddove siano state eliminate, proprio per lasciare un adeguato spazio di deflusso nei momenti di maggiore e più intensa portata.
E’ ovvio che ciò non sia facile, poiché abbiamo delimitato e confinato l’ambiente naturale, che non ha più a disposizione dei luoghi dove poter espletare le proprie dinamiche.
In definitiva, quindi, dobbiamo metterci in testa che l’unica via di uscita è restituire all’ambiente naturale uno spazio adeguato, tale da ripristinare il sistema sia da un punto di vista ecologico che come “assorbitore idro-energetico”.
Le leggi ci sarebbero, anche se sul piano giuridico vi sono alcuni conflitti e carenze che andrebbero risolti. Le risorse e i piani di azione che vanno in tale direzione sono invece pochissimi. Ma, sottolineo, è parimenti necessario un cambio culturale, non solo attraverso azioni formative -educative ma anche cercando di coinvolgere emotivamente soprattutto i giovani, riportandoli a contatto con l’elemento idrico e l’affascinante ambiente fluviale.

Può menzionare dei casi di progetti italiani di rinaturazione che hanno prodotto dei risultati?
Quali sono gli elementi fondamentali che permettono di raggiungere gli obiettivi prefissati?

Personalmente ho iniziato a portare avanti questi principi, sia nella formazione e divulgazione che nell’attività tecnica professionale, da circa vent’anni, in una fase pionieristica. Con i miei collaboratori abbiamo curato diversi progetti che applicano le tecniche di ingegneria naturalistica per la difesa del suolo dall’erosione, con ottimi successi. Per esempio quelli sugli affluenti del Fiume Arno in provincia di Firenze, ove portiamo studenti da tutta Italia.
Un intervento molto interessante lo abbiamo realizzato proprio in Versilia, nell’ambito della cassa di espansione del Lago di Porta, presso Massa. Abbiamo progettato e realizzato interventi di mitigazione ambientale degli impatti delle opere idrauliche previste, interventi di consolidamento e rivestimento delle scarpate con tecniche di ingegneria naturalistica e la riqualificazione e sistemazione naturalistica delle aree degradate.
Altri esempi significativi sono documentati sul sito del CIRF e nel libro manuale “La Riqualificazione Fluviale in Italia”, curato dal CIRF ed edito da Mazzanti.
In generale, gli elementi chiave che permettono di raggiungere gli obiettivi sono la conoscenza del sistema, naturale e antropico, ove si va a intervenire, l’adozione di un approccio multicriteriale e integrato, l’adozione del principio di dare spazio alla natura, il ricorso a tecniche “naturalistiche” e la partecipazione degli attori interessati (gestione ottimale del conflitto e ricerca della soluzione “a massima soddisfazione complessiva”).

pdf

Il Pdf qui allegato esemplifica l’intervento operato sul Lago di Porta, presso Massa.

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redazione

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