Palmaria, la bella Sfregiata

Palmaria, la bella Sfregiata

di Giorgio Pizziolo*

Presso alcune tribù o presso alcuni clan  la minaccia o addirittura l’azione dello sfregio è usata per dominare la donna e per piegarla al proprio volere, o anche per avviarla alla prostituzione.
I contestati lavori sulla costa interna dell’isola della Palmaria di fatto hanno un analogo effetto nei confronti della natura profonda dell’isola, facendole perdere il suo fascino originario, buttandola sul mercato del turismo di massa.
Questa arroganza violenta è il male peggiore che il territorio ha dovuto subire nell’attuale occasione.
Ma al di là delle allegorie cerchiamo di capire quale è la situazione in un momento estremamente delicato  per questo territorio così strategico e di così alto valore.
Le opere eseguite,tra l’altro in maniera grossolana, senza alcuna attenzione alla delicatezza dei luoghi, e formalmente discutibili, in realtà, pur gravi in sé, sono ancora più gravi in quanto vanno a predeterminare gli assetti futuri dell’isola ponendo una grave ipoteca sulle sue possibili destinazioni.
Ciò è particolarmente grave perché in realtà, né a livello degli esperti, né a livello degli amministratori, né tantomeno a livello delle popolazione e dell’opinione pubblica si è mai svolto un dibattito approfondito sia sulla natura dell’isola, sia sulle possibili sue destinazioni e sulle sue possibili alternative, e quindi sulle modalità per ottenere gli eventuali obbiettivi prefissati.

Abbiamo detto “dibattito approfondito”, che purtroppo è del tutto mancato.

Abbondano invece paradossalmente materiali istruttori per il Parco  e per il Sito Unesco, che però hanno avuto,  fino a questo momento, l’esito di  fare solo da foglia di fico per  gli interessi e le manovrette  locali, e che hanno contribuito, questo sì sensibilmente, ad alzare il valore  immobiliare di tutti i territori circostanti.

La questione diviene ulteriormente controversa e contraddittoria se si considera che l’isola fa parte di quel vastissimo ed eccezionale patrimonio pubblico in via di dismissione da parte della Marina e dello Stato. L’operazione dismissione  avviene in generale senza alcuna trasparenza e senza che vi sia stata nessuna presa d’atto dello straordinario valore dei territori dismessi, trascurando completamente quelle che avrebbero dovuto essere le politiche di ritorno di quei territori all’uso pubblico o comunque all’uso delle comunità interessate, in quanto Bene Comune, così come furono acquisiti dallo Stato nell’interesse della difesa della Nazione.
Anche sotto tale profilo l’isola Palmaria può allora essere assunta come un punto di riferimento importante e potrebbe essere considerata un caso esemplare da valutare con attenzione prima di qualunque intervento che pregiudichi gli esiti complessivi, ovvero che mostri la gravità di agire avventatamente.
Sulla Palmaria  convergono oggi molteplici elementi e contraddizioni che varrebbe la pena di prendere in considerazione in ogni loro aspetto e di approfondire, sia scientificamente che partecipativamente, per evitare la banalizzazione e quindi la distruzione delle potenzialità più profonde e di quelle di lungo periodo.
Potremmo allora proporre di aprire finalmente  questo “dibattito approfondito” che finora è mancato, anche con qualche prima valutazione da avanzare  in questa occasione.

Proviamo  a fornire un primo parziale contributo, cercando di individuare alcuni punti fissi di riferimento. Questi possono essere forniti tramite  alcune riflessioni paesistiche sperimentali, che intendono peraltro  andare al cuore della vera natura della Palmaria.
Da esse, come vedremo, l’isola appare sempre caratterizzata da una doppia condizione, da un lato quella di una rara bellezza, e contemporaneamente dall’altro, quella di una intrinseca estesissima  fragilità.
Bellezza e Fragilità sono le connotazioni di questo luogo singolare, e  da ciò quindi dovrebbe discendere l’estrema delicatezza e circospezione con la quale trattarlo proprio perché così particolare.

I punti fissi delle riflessioni paesistiche sperimentali sono:

–    Insularità
Può sembrare ovvio, ma  il fatto di essere un’isola (la maggiore della Liguria) e di essere contemporaneamente molto prossima alla costa ne fa un luogo raro, ma al tempo stesso “fragile”proprio nella sua insularità. Così il canale di Portovenere diviene  un ambiente delicatissimo, sia sul mare che sulla terra, che sull’isola. E’ qui invece che si sono concentrate le maggiore alterazioni di questi ultimi anni (massicciate a terra, interventi sull’isola), con nefasti esiti.

Il fascino della Palmaria è quello di essere separata , “isolata”, segreta, una meta  raggiungibile solo con la navigazione. Ogni tentativo di avvicinamento improprio non fa che banalizzare l’isola stessa

D’altra parte  “l’isolamento” anche dal punto di vista naturalistico è quello che garantisce la biodiversità, bene prezioso e sempre più raro.  Queste considerazioni valgono anche per il mare che la circonda in varie forme.

–    Complessità
L’isola si presenta peraltro con diversi aspetti sui suoi diversi fronti a mare,  ed anche all’ interno vi sono situazioni assai differenti, sia naturali sia dovute alle vicende storiche. Altrettanto può dirsi per i fondali che la circondano, sia per le loro diversità di ambiente, sia per la natura dei flussi e delle correnti. Siamo dunque in presenza di un compressissimo Microcosmo, con delle straordinarie variazioni di paesaggio e di situazioni ambientali, tutte diverse e tutte di grande pregio (basti pensare alle grandi falesie sul mare aperto, alla macchia mediterranea così diffusa, alle grotte preistoriche e alle costruzioni militari e storiche, all’isola del Tino e del Tinetto,  alle coltivazioni interne, etc.).

Ma il microcosmo è veramente piccolo, e vive della sua articolazione morfologica estrema. Questa ci appare allora come la fragilità della ricca ma minuta complessità dell’isola.

Anche questa condizione richiede la massima attenzione, e così operazioni possibili in altre situazioni qui non sono ammissibili. Per esempio ipotizzare una viabilità interna, per quanto raffinata e “sostenibile”, farebbe saltare i delicati equilibri tra le diverse parti del microcosmo , rischiando di stravolgere tutti i rapporti ambientali, ecologici, e paesistici dell’intera isola, con un danno ambientale ed economico irrecuperabile.

–    Usi multipli
La natura complessa dell’isola ha introdotto nel tempo una serie di usi differenziati e assai particolari di ogni risorsa. Questo fatto è stato ulteriormente accentuato dagli usi militari dell’isola stessa, che ne hanno ancor più “specializzato” l’utilizzo. E’ evidente, di conseguenza l’alta potenzialità di uso dell’isola ma anche la fragilità di una tale situazione.

Anche sotto questo profilo, dunque, introdurre usi impropri o peggio trasferiti da modelli consumistici, rischia di alterare irrimediabilmente l’isola, snaturando e banalizzando il suo patrimonio antropologico e di fruibilità  diffusa ma assai delicata.

–    Antropizzazione diffusa
Un’ulteriore conseguenza del punto precedente, accentuata dall’uso militare secolare, è quella del fenomeno di uso temporaneo, stagionale, dell’isola stessa . Seppure con modalità diverse, nei vari periodi storici, di fatto l’isola è stata abitata stabilmente da pochissime persone, e non vi è mai stato un insediamento significativo,  Del resto il rilievo napoleonico  dimostra chiaramente che questa caratteristica è di antica data. Si potrebbe avanzare l’ipotesi che l’isola fosse una sorta di “bene civico” delle popolazioni abitanti i Borghi Marinari (Portovenere, Le Grazie, Fezzano,) che usavano stagionalmente quei territori,  li coltivavano (in terra e in mare) e ne usufruivano comunitariamente.

Nel momento attuale di cambio di fruizione del bene, con le dismissioni militari, si assiste ad una fase di accaparramento, senza il minimo controllo pubblico, e senza alcuna valutazione o piano di riuso e di fruizione dei beni e delle risorse dell’isola, il che è particolarmente increscioso trattandosi di un parco regionale , e quindi di un territorio di interesse pubblico.

–     Relazioni ambientali, paesistiche turistiche, con la Penisola Cinqueterre/Portovenere.
L’Isola Palmaria è anche il terminale della penisola o promontorio che dalle Cinque Terre si allunga nel Mare Ligure , fino al Tinetto. Vista in questo contesto geografico paesistico essa acquista un’ulteriore valenza, quella di un incontro sempre più sfumato e rarefatto tra Terra e Mare, e proprio la sua natura aspra, selvaggia  e a basso livello di antropizzazione  fa del piccolo arcipelago finale lo straordinario completamento di questa terra di grande significato, e di questo mare circolante.

Non per niente le isole fanno parte di un parco, che peraltro è rimasto sulla carta e che non sembra affatto cogliere gli aspetti fondamentali della sua stessa natura. Senza una comprensione della sua qualità difficilmente si potrà pensare a politiche di sostenibilità attiva di questo bene unico.

–    Relazioni ambientali, paesistiche, turistiche, con il Golfo della Spezia
Infine è naturale ricordare che l’isola con il suo piccolo arcipelago è una parte significativa e fortemente caratterizzante dell’intero Golfo della Spezia, proprio nella sua apertura a mare. La particolare configurazione ne fa  un elemento di valore strategico non solo come lo fu in termini militari, ma ancor oggi in termini ecologici e paesistici. Il riconoscimento di tale ruolo è assai scarso, e sarebbe viceversa del massimo interesse. Infatti sotto entrambi gli aspetti l’isola è caposaldo di sistemi di relazioni ecologiche vitali e paesistiche intense che riguardano molteplici altri riferimenti costieri, marittimi ed anche lontani, si pensi per tutti ai reciproci rapporti  visivi e simbolici, con le Alpi Apuane e il  Monte Sagro, ovvero con Vezzano Ligure e San Venerio che un tempo dominava le relazioni con l’isola.

Tutte queste relazioni sono oggi trascurate e ignorate, e rischiano di essere compromesse da scelte banali e devastanti, che svilirebbero i contesti territoriali e quindi le loro capacità relazionali.

Occorre  lanciare una nuova politica paesistica

Proprio il binomio bellezza fragilità , enormemente esaltato dalla pericolosità della fase in corso che aumenta a dismisura la fragilità antropica indotta sull’isola, ci spinge a proporre di aprire una fase di riflessione, di approfondimento e di moratoria sull’isola , a cominciare dalle opere dello “Sfregio”, assolutamente da fermare e se possibile da eliminare, dando comunque inizio ad una fase di trasparenza di ogni atto che vi si intenda intraprendere. Ciò superando l’attuale mancanza di trasparenza oramai arrivata ai limiti dell’omissione degli atti di ufficio, tenendo conto dello smascheramento delle Spa, o Srl che siano, anche  a livello nazionale, in quanto strumenti antidemocratici che tolgono ai cittadini il controllo sulla cosa pubblica e che  possono esporsi al rischio “gelatina”.

Un progetto paesistico, realmente partecipato dal basso, e non teleguidato, è forse l’ultima possibilità per evitare la “riminizzazione” della Palmaria e la sua banalizzazione diffusa, come comporterebbe il rendere  “balneabile” tutta la riva interna dell’isola, duplicando il fronte a mare della Portovenere recente. Crediamo che l’isola non si meriti questo affronto fatto nell’interesse di pochi, e con la distruzione anche economica di un bene che invece dovrebbe contribuire  al benessere economico ed ecologico di tutta la popolazione. Un programma di politica paesistica in tal senso, estensibile magari alla penisola e al Golfo, è ancora possibile, basta volerlo.

* docente – Università di Firenze

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redazione

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Un pensiero su “Palmaria, la bella Sfregiata

  1. Al di là della conoscenza personale e della frequentazione che mi ha, se pur tardivamente, indotto ad attività associative in difesa del territorio, da discepolo non posso che aderire a quanto descritto e sistematizzato nello
    articolo.La realtà dscritta è proprio quella di uno scempio che si sta realizzando nsistematicamente e con finalità
    che nulla hanno da condividere con la tutela dell’ambiente e con l’interesse pubblico.Viene creata da parte del
    comune che è il committente,una viabilità che il PUC prevede rigorosamente pedonale,ma che invece è assolutamente sovradimensionata nelle larghezze e nel tipo di tenuta del fondo.Si creano scogliere dove non esiste da secoli erosione marina.Il muro di cinta di villa san Giovanni è lo stesso che disegnò Clerk nel 1805 e come allora è a filo
    dell’acqua.Meglio sarebbe dire era poichè ora è stata creata una carreggiata camionabile da due metri e dieci.
    Le dotte parole del prof.Pizziolo e della moglie prof.Micarelli stridono con lo stravolgimento di quanto va realizzandosi.Il mutamento dei luoghi è di una tale volgarità che fa male.Dopo aver letto questo ampio saggio invito ad
    andate sui luoghi e verificate gli ultimi residui di quella fragilità così a rischio.
    Enrico Pandolfo

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