Se un capostazione si mettesse a scrivere

Se un capostazione si mettesse a scrivere

di Daniela Binello

Neil Henry insegna giornalismo a Berkeley. Da circa due anni, invece di far lezione, sembra che dia lettura a bollettini sui caduti in una guerra. <<Quelli che se ne devono andare – informa i suoi studenti – sono i giornalisti più competenti, quelli che si dedicano da una vita a cercare di scoprire la verità, in piena indipendenza e senza partito preso>>. E poi giù una litania di aggiornamenti sui tagli nei mass media americani: cento redattori di meno all‘Associated Press, duecento licenziamenti al Mercury News di San José,  cento al New York Times, idem all’Union Tribune di San Diego e al San Francisco Chronicle (che con i soldi risparmiati in salari sei mesi dopo ha inaugurato un canale di video finanziato dalla pubblicità raccolta per il web del giornale online) e dal 2000 la redazione del Los Angeles Time è passata da milleduecento a settecento collaboratori.

Non è detto che fra i licenziati cui fa riferimento il professor Henry ci siano soltanto i giornalisti scomodi. Più che altro ci sono quelli che costano di più, perchè per fare bene quel lavoro non si devono avere problemi economici, a livello personale, ma anche e soprattutto perchè ci si deve poter spostare dalla redazione liberamente, tutte le volte che è necessario e anche per più giorni, senza dover dar conto al giornale di quello che si sta facendo fino a inchiesta finita.

Il caso francese è un po’ diverso e per deprimenti ragioni è più riconducibile al nostro povero paese (fra poco capirete perché).

Quando, nel 1999, Ségolène Royal fu condannata al pagamento degli stipendi arretrati di due sue ex collaboratrici che avevano lavorato per la comunicazione della sua campagna elettorale nelle regionali del 1998 la maggiore agenzia di stampa francese, l’Agence France Presse (Afp), non diede la notizia. In pratica, la Royal aveva evaso una legge della repubblica, in materia di diritto del lavoro, e la massima agenzia di stampa francese che fornisce contenuti d’informazione a siti come Yahoo France e Orange (del gruppo France Telecom) e a moltissime altre testate di primaria importanza eludeva la questione (la Royal perse il ricorso contro questa sentenza anche in Cassazione). L’Afp, una delle tre principali agenzie di stampa mondiali, è considerata fin dalla sua fondazione, nel 1944, vicina agli ambienti della resistenza contro il nazismo e della gauche francese.

Potendo scegliere, nel caso la questione fosse stata messa a confronto in un forum, così com’è molto cool adesso, chi “meritava” il licenziamento: gli americani o, in questo caso, i loro colleghi parigini?

In un futuro che è già ampiamente cominciato non c’è più posto per il giornalista-inviato che dà la caccia alla verità mettendosi in gioco sul campo perchè padroneggiare una videocamera digitale, saper utilizzare in tempi rapidissimi gli strumenti della ricerca delle immagini e dell’audio, provvedere da soli al montaggio audio-video, tutto ciò conterà più della conoscenza approfondita di un determinato settore dell’informazione o della capacità di realizzare inchieste sul campo.

Già da alcuni anni, infatti, le redazioni dei quotidiani chiedono ai loro giornalisti di dare un contributo ai portali o ai web e anche ai blog agganciati al giornale cartaceo. Senza alcun extra sul loro stipendio.

Tutti i giornalisti fissi delle redazioni sanno, infatti, che il loro “posto” oggi comporta un sovraccarico di lavoro.  Un cronista di un quotidiano arriva in questo modo a lavorare anche quindici ore al giorno; un redattore di un settimanale ormai è costretto a scrivere come se fosse impiegato in un quotidiano e a volte addirittura in un’agenzia di stampa.

Questa produzione a flusso continuo non persegue l’obiettivo della qualità, nè della libertà, nè del miglioramento della cultura dei suoi fruitori, bensì soltanto obiettivi di posizionamento sul mercato dei mass media per fare crescere l’attrazione di pubblicità a pagamento.

Al giornalismo d’inchiesta si sostituisce così un “giornalismo di conversazione” (i blog, alcuni di straordinario successo), al giornalismo di approfondimento si sostituisce un giornalismo di aggregazione d’immagini tendente alla sbrigativa rappresentazione dei fatti mediante videoclip: i disastri ambientali, come tsunami, terremoti, alluvioni, sono disastri last minute visti da milioni di persone mentre sono ancora in corso di svolgimento; le ultime battute di un politico divengono filmatini tratti da una conferenza stampa e montati alla stessa stregua del trailer di un film o dello show reel di una rockstar, così come il promo di un nuovo suv.

Solo il giornalista iperattivo al desk, soltanto quello sedentario, ma più capace di altri nel reperire e aggregare immagini, ce la farà. La missione non è più quella di ricercare la verità dei fatti, bensì quella di rendere noto ciò che già lo è, però bisogna farlo meglio di altri per avere più audience.

Per fare bene il caporedattore, in pratica, bisognerà avere piuttosto un’esperienza da capostazione (saper fare muovere tanti treni su un numero limitato di binari senza farli scontrare fra loro) più che essere stato un bravo cronista e un inviato. Ma perchè i giornalisti non si ribellano? La ribellione non concorre per un desk e questa è l’ultima domanda che si dovrebbe porre a un aspirante giovane giornalista.

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redazione

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