“Il problema dell’energia e le centrali nucleari nello scenario socio-economico ed industriale italiano visto dall’interno del sistema nucleare”

 

Prof. Marcello Vecchi

 

Premessa

Si parla spesso di centrali nucleari, di energia nucleare o di energia in generale, senza avere la minima idea di cosa sia, della sua valenza ed importanza economica, sociale, industriale e strutturale. Si parla a vanvera, come in un bar di giocatori e tattiche di una partita di calcio, ignorando i reali parametri che possono determinare le scelte in generale non solo della politica nucleare, ma quelle di una politica energetica.  In Italia il più recente piano energetico-  che ogni Nazione degna di affrontare il tema  dell’energia deve sviluppare come elemento programmatico di lavoro e di sviluppo-  risale al 1993. Nasce quindi una evidente necessità di essere informati e di capire cosa sia l’energia, l’energia nucleare, il suo impatto sociale, economico, industriale; nasce la necessità  per il cittadino di farsi un giudizio suo, basato tuttavia su argomentazioni scientifiche portate e spiegate da scienziati non solo preparati, ma anche intellettualmente onesti. Martin Lutero credeva nella possibilità di comprendere ed interpretare i testi sacri attraverso il nostro intelletto, l’argomento dell’energia nucleare è molto più facile, concreto ed immediato.

 

Una breve cronistoria

 

L’energia nucleare e’ apparsa sul mercato industriale dopo la seconda guerra mondiale ed e’ stata subito sfortunatamente legata alle terribili conseguenze dell’esplosione delle due bombe atomiche in Giappone nel 1945. Ad alimentare anche i sospetti e i dubbi della popolazione mondiale sull’utilizzo del nucleare sono stati i primi usi, prettamente militari, specificatamente motori per sommergibili, su cui il sistema nucleare e’ stato impiegato negli anni 50-60 (la guerra fredda) e ancora per la produzione di isotopi (plutonio), destinato ad usi bellici (bombe atomiche). Il fatto di non avere un bruciamento di combustibile richiedente aria, poneva il sistema nucleare come il motore ottimale, non consumando aria, laddove se ne aveva in quantita’ limitata e ha permesso ai sommergibili nucleari lunghissime immersioni senza emergere, con tempi nell’ordine di mesi, contro le poche ore di quelli tradizionali. Un secondo vantaggio era la compattezza del motore nucleare contro i due motori, elettrico e diesel, impiegati nei sommergibili convenzionali.

Ed e’ forse per questa ragione che non si e’ mai ottimizzato questo tipo di macchina nucleare  dal punto di vista energetico, sia usata come motore per sottomarini, sia per produrre energia, che all’inizio, specialmente negli impianti nucleari di terra che producevano isotopi (plutonio), era vista come una fastidiosa aggiunta.

Quindi e’ rimasto dal passato questo retaggio, sia di paura fondata sull’impiego dell’energia nucleare, che di scarsa attenzione per una ottimizzazione impiantistica per usi diversi dal bellico.

La General Electric (GE) e la Westinghouse (WE), le due compagnie americane titolari della costruzione dei due tipi di centrali nucleari ad acqua leggera allora esistenti, (il terzo tipo a gas e’ stato sviluppato da compagnie inglesi e francesi, ma con minore successo industriale), commercializzarono alla fine degli anni ‘50 due tipi di reattori nucleari, rispettivamente a acqua leggera bollente (GE) ed in pressione (WE), cercando un paese amico al di fuori degli USA, dove poter sperimentare il loro funzionamento. E’ da vedere in quest’ottica l’istallazione in Italia dei due impianti nucleari del Garigliano (GE, 150 MWe, 1963) e Trino Vercellese (WE, 260 MWe, 1964), centrali nucleari ad acqua leggera andate critiche tra le prime al mondo (Garigliano fu il settimo reattore critico, Trino il decimo) e che ebbero – quasi subito dopo l’allacciamento alla rete elettrica – incidenti nucleari molto seri (entrambe), e gravosi rilasci di radionuclidi (Garigliano), e di cui la popolazione italiana non fu mai informata in modo soddisfacente.

L’Italia in quegli anni era il terzo paese al mondo produttore di energia nucleare! All’epoca del referendum del 1987 esistevano altri due reattori nucleari funzionanti – con un’unica centrale in costruzione, quella di Montalto di Castro, (GE, 1964 MWe) – ossia quello di Latina (costruzione inglese, 200 MWe, 1962) e di Caorso (GE, 860 MWe, 1977). Sia gli impianti di Trino, che del Garigliano nel 1987 erano stati fermati per incidenti. Si puo’ rilevare quindi che la situazione nucleare italiana era ben poca cosa nel 1987 rispetto ad una realta’ mondiale (piu’ di 400 centrali nucleari esistenti, culminate come numero ed ordini dopo la crisi del petrolio del 1973). L’industria italiana al contrario aveva un ruolo di primissimo piano in campo mondiale prima del 1987 : industrie manifatturiere come Breda, Belleli, Ansaldo, Tosi, di montaggio come la Cmc, l’Astaldi, elettriche come la Gavazzi etc. erano riuscite ad acquisire ordini molto importanti ed erano molto  quotate a livello internazionale. Tuttavia l’attività era limitata a livelli di progettazione e costruzione di componentistica, non a livello di sistema, rimasto in mano di GE e WE.

Dopo il 1987 tuttavia sia l’industria nucleare italiana, sia l’Universita’, sia la ricerca nucleare (Enea, Enea Disp, CNR), hanno prima ridotto e poi smantellato le corrispondenti competenze ed impianti.

Va sottolineato come, durante il funzionamento di una centrale nucleare, non si possa prescindere dalla produzione di isotopi radioattivi, che da una parte, qualora uscissero dal sistema, cagionerebbero seri  danni (tumori) alla salute dei cittadini, ma dall’altra si deve constatare che e’ proprio dall’energia cinetica dei frammenti di fissione e dal loro decadimento (degli isotopi), che si ottiene l’energia di una impianto nucleare. Moltiplicando infatti l’energia (media) di 201 MeV ottenuta in una fissione, per il numero di fissioni che avvengono nel tempo in un nocciolo nucleare, si ottiene la potenza di un impianto nucleare. Da questa condizione di funzionamento si possono trarre e capire i due principali problemi che si incontrano usando l’energia nucleare :

– 1.  il confinamento degli isotopi prodotti all’interno del reattore nucleare, che in definitiva riguarda la sicurezza totale dell’impianto e della popolazione;

– 2. il rendimento dell’intero impianto, che  e’ dell’ordine del 33%, ben al di sotto di un impianto convenzionale a petrolio (fino al 47%), o di uno a turbogas (intorno al 87% con la cogenerazione).

 

Se si considera quindi una produzione elettrica di 1600 MWe si ha un rilascio all’ambiente pari a 2 unita’ di potenza nucleare prodotta su 3, ossia 3248 MW. Prendendo in considerazione la stessa potenza elettrica di 1600 MWe, nel secondo caso invece, (petrolio) si rilasciano all’ambiente 1804 MW, nel terzo, (turbogas) 240 MW. Da notare che 1600 MWe e’ la taglia standard di un impianto nucleare EPR, preso in considerazione dal Governo italiano per le centrali future. Importante sapere ancora che questo calore disperso nell’ambiente e’ accompagnato da una enorme quantita’ di vapore uscente dal condensatore (torri di raffreddamento) dell’impianto nucleare, che ha un effetto serra simile a quello dei gas di scarico degli altri due tipi di centrali considerate (anidride carbonica).

Riguardo al primo punto, ossia quello del confinamento, esso e’ realizzato attraverso 3 barriere successive : la camicia dell’elemento di combustibile contenente uranio, ove avviene la fissione nucleare, il contenitore del combustibile, il contenitore dell’intero impianto ove avviene la reazione nucleare. Ed e’ proprio dalle temperature imposte alla camicia del combustibile, di 400 °C (non e’ ammessa la fusione con la conseguente fuoriuscita degli isotopi nell’acqua di raffreddamento per ragioni di sicurezza), che si ottiene obbligatoriamente la temperatura dell’acqua di raffreddamento della camicia stessa, che deve avere un valore, per ragioni termo-fluidodinamiche, di 300 °C. Questa temperatura dell’acqua costringe il sistema a seguire il ciclo Rankine a vapor saturo (e quindi ad un rendimento limitato al 33%) contro il ciclo Hirn degli altri impianti convenzionali (a vapore surriscaldato e spillamenti in turbina, con rendimenti superiori al 45%). E’ questa una limitazione molto pesante degli impianti nucleari, tra l’altro non suscettibile di sviluppi, poiche’ imposta da ragioni di sicurezza : la temperatura di 400 °C della camicia di combustibile. E l’utilizzo di “materiali esotici” (ceramici, etc.) per le camicie degli elementi di combustibile sembra non essere realmente ingegneristico, almeno fino ad oggi.

Le considerazioni finali a questo punto sull’utilizzo dell’energia nucleare devono essere tratte dal cittadino, debitamente informato; tuttavia una contraddizione si pone subito evidente : come possa un Governo proporre la costruzione di centrali nucleari di questo tipo e poi costringere in pratica i cittadini a comperare costosissime lampadine per il risparmio energetico o come possa introdurre l’argomento del risparmio energetico.

Di conseguenza e’ naturale passare dagli impianti nucleari a considerazioni piu’ generali sulla politica energetica di un paese, in particolare l’Italia. L’ultimo piano energetico nazionale prodotto dai nostri Governi risale al 1993…E di conseguenza il modello di sviluppo che i cittadini dovrebbero scegliere, oscilla tra queste due opzioni:

– un capitalismo “selvaggio” in cui il costo dell’energia deve essere il piu’ basso possibile (con tutti gli effetti collaterali) e l’energia quasi interamente a disposizione di pochi paesi (non piu’ di una decina, tutti produttori), con il “resto” … ben poco!!.. per i paesi consumatori, che in definitiva fanno parte dei paesi poveri e del terzo mondo;

– e un capitalismo moderato, in cui il prezzo dell’energia non e’ il solo parametro determinante, ma si prende in considerazione anche l’attenzione all’ambiente, alle condizioni di vita della popolazione, alle loro interazioni con la produzione elettrica, etc. In questo sistema entrano le energie rinnovabili, il cui costo energetico (KWh) e’ decisamente piu’ alto rispetto a quello degli altri sistemi, ma che hanno un forte impatto sociale e soprattutto gli studi e le ricerche atti al miglioramento dei coefficienti di rendimento dei sistemi usati.  *** ???

Si sottolinea che il risparmio energetico passa inevitabilmente attraverso l’aumento di detti coefficienti.

Le centrali nucleari sono certamente un esempio di questo spreco energetico, ma non l’unico o il peggiore se infatti si considera che il rendimento (rapporto potenza sviluppata dal motore ed utilizzata dalle ruote) per una comune automobile e’ intorno al 17%. L’83% dell’energia del motore viene quindi rilasciata all’ambiente! Si tratta, concludendo, di un discorso molto aperto e comprendente l’intero sistema “energia” che si vuole qui di seguito prendere in considerazione e delineare.

Di conseguenza scaturisce da questo l’esigenza di parlare e considerare l’energia come il parametro determinante per lo sviluppo della popolazione o di un paese, l’energia nucleare ne e’ solo una piccola parte. L’attuazione di una programmazione energetica nazionale, il relativo piano, quello industriale e sociale sono conseguenze di tali considerazioni.

Dai resoconti dell’Enel si deduce che il fabbisogno totale energetico italiano del 2007 e’ stato di 337,6 TWh, da un paio di anni in diminuzione o stagnante come conseguenza della crisi economica italiana. Di questo fabbisogno il 77,1% e’ relativo a centrali termoelettriche, il 13,5 idroelettriche, il 3,6 da rinnovabili, il 9,3 di energia importata dall’estero. Altre percentuali per pompaggi e servizi (circa 5%). Non sembra dunque veritiero che la dipendenza dell’Italia dall’estero sia cosi’ marcata, almeno facendo un paragone tra le nazioni europee con la rete elettrica interconnessa, ne’ e’ verificata la necessita’ della costruzione di nuove centrali nucleari e non. Tuttavia ai fini di un discorso energetico non sono solo importanti i valori totali, ma anche la loro distribuzione giornaliera. In quasi tutti i giorni dell’anno, per esempio, si nota una differenza di piu’ del doppio tra i valori di consumo diurno di energia  (dopo le ore 10) e quello notturno. Cio’ vuol dire che l’Enel deve portare durante la notte il 50% delle centrali pronte al carico, ma non producenti nulla. Per fare cio’ si deve spendere circa il 3-5% della potenza dell’impianto per tener calde e pronte al carico mattutino le tubazioni, la turbina, gli ausiliari, etc, tutto che comunque deve essere mantenuto caldo e pronto al carico mattutino. Se si producesse energia quindi in tali impianti di notte, la si avrebbe ad un costo relativamente piu’ basso : di conseguenza si dovrebbe “costringere” l’utenza (con tariffe differenziate per esempio, tra l’altro introdotte da pochissimo e finalmente in Italia) a consumare l’energia durante la notte (lavatrici, frigo, congelatori etc.). Per paradosso se la meta’ degli italiani lavorasse di notte, il fabbisogno si uniformerebbe, le differenze in consumo energetico giorno-notte scomparirebbero e l’Enel potrebbe dismettere meta’ delle centrali che ha istallato. Concludendo, considerare seriamente il problema energetico significa modificare il sistema di vita delle popolazioni. Si e’ disposti a questo ed in che misura? E’ ancora una scelta politica dei cittadini e non tecnica, laddove tuttavia una corretta informazione ai cittadini e’ un punto essenziale non rinunciabile.

Il discorso puo’ essere simile a quello relativo alle fonti rinnovabili (f.r.). Se si ha un milione di impianti di energia rinnovabile (per esempio fotovoltaico, solare, etc.), essi devono funzionare tutti per non istallare le centrali convenzionali che devono produrre la potenza corrispondente. Ma se non c’e’ vento, o la nube oscura il sole e si vuole lo stesso (come utenti) l’energia elettrica prodotta precedentemente, ne consegue che si deve istallare centrali per i corrispondenti impianti di fonti rinnovabili che non possono funzionare per ragioni atmosferiche. Di conseguenza il prezzo energetico sarebbe troppo alto per lo sdoppiamento degli impianti per una medesima potenza. Cio’ che in definitiva si puo’ fare (e che si fa realmente) e’ di considerare statisticamente quanti impianti rinnovabili occorrono per assicurare una certa potenza sicura (devono essere comunque funzionanti). Detta potenza puo’ essere scalata dagli impianti convenzionali istallati e quindi dismessa. Per questa ragione nel nord dell’Europa sono stati messi in parallelo gli impianti di f.r. di quasi tutti i paesi prospicienti il mare del Nord e Baltico, con le eccedenze di energia (durante la notte, etc.) impiegate in Norvegia nel pompaggio dell’acqua di mare nei bacini in quota e racchiusi con dighe. L’energia potenziale di detta acqua si potra’ sfruttare con una turbina Pelton semplicemente aprendo le serrande della diga in tempi e fabbisogni opportuni. Questo e’ il solo metodo per accumulare energia : trasformarla in energia potenziale attraverso un salto di quota dell’acqua. Ma questi metodi statistici hanno bisogno di un cospicuo numero di impianti di fonti rinnovabili e di grandi potenze istallate, praticamente intorno al 20% del totale. E hanno bisogno di forti investimenti e di una seria programmazione economico-industriale e di credibilita’.

 

Le conclusioni si possono riassumere :

  • il problema energetico e’ un problema serio poiche’ determina il modo di vita di un popolo, ed il nucleare ne fa parte ed e’ ancora piu’ serio
  • – affrontare il problema nucleare non vuol dire “dare i numeri”, ma determinare una politica energetica, industriale, sociale.

Una politica energetica si basa sulla scelta di capitalismo da seguire (selvaggio-moderato), su una programmazione energetica nazionale, su un piano per le risorse rinnovabili e del risparmio energetico.

Una politica industriale si basa sulla programmazione, nel tempo, degli interventi strutturali adatti allo scopo, nell’industria, nell’Universita’, nei centri di ricerca, nella Divisione sicurezza ed infine nella scelta e costruzione del sito dei rifiuti radioattivi.

Una politica sociale si basa sul coinvolgimento della popolazione relativamente al problema energetico, ancora sul suo coinvolgimento, partecipazione e responsabilita’ delle scelte generali energetiche, nucleare incluso, ed infine all’istituzione di centri, in maniera capillare sul territorio, preposti all’informazione e al coinvolgimento della popolazione alle scelte proposte. La strada e’ lunga e difficoltosa se non si hanno le idee chiare!

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redazione

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