Il pessimismo della ragione globale, l’ottimismo della volontà

Il pessimismo della ragione globale, l’ottimismo della volontà

di William Domenichini

«Chi parla male, pensa male e vive male», perché «le parole sono importanti». Mi piace pensare che il personaggio di Nanni Moretti rappresenti, metaforicamente, tutti coloro i quali non accettano più distorsioni dolose del linguaggio, spazzando via, con quel gestaccio così politically uncorrect, ipocrisia, malcostume e servilismo di chi dovrebbe dare informazioni documentate e quindi, è il caso di dirlo, sostenibili. Nel quotidiano accade che la precarietà contrattuale sia “lavoro atipico”, gli inceneritori diventino “termovalorizzatori”, un carcere si trasformi in “CIE”, privatizzare l’acqua diventi “razionalizzare i servizi”, una società indebitata diventa “bad company”, e tante altre operazioni distorcenti, prodotte da quella che è stata definita la Fabbrica dei sogni e delle menzogne, alternativamente la voce del padrone, del regime.

Riscoprendo il senso delle parole riusciremmo a superare la banalità dei luoghi comuni su dilanianti problematiche contemporanee, evitando falsi miti o seducenti scorciatoie ingannevoli. Non è un caso che sogni e menzogne fabbricati ad hoc producano distorsioni su tutto ciò che riguarda l’ambientalismo, che diventa sinonimo di ostacolo allo sviluppo, di intralcio all’impresa, scomodando ricatti occupazionali, mistificando il sistema di consumi ed il suo cardine primario: il PIL. Ma letteralmente l’ecologia è la somma di oikos (οἴκος) e logos (λόγος), ovvero lo studio della casa, delle relazioni che intercorrono tra ambiente ed elementi che lo abitano, che «è sovversiva poiché mette in discussione l’immaginario capitalista dominante. Ne contesta l’assunto fondamentale secondo cui il nostro orizzonte è il continuo aumento della produzione e dei consumi. L’ecologia mette in luce l’impatto catastrofico della logica capitalistica sull’ambiente naturale e sulla vita degli esseri umani1».

Non è un caso che il pensiero unico presuppone che le regole rappresentino un intralcio: chiunque chieda dei vincoli rappresenta il vecchio, grigio e desueto ostacolo al progresso civilizzante del mercato, unica mano invisibile che è in grado di garantire il benessere, attraverso il mantra dei consumi. Nel 1955, l’economista statunitense Victor Lebow scrisse a chiare lettere che «la nostra economia, così bisognosa di produrre sempre di più, ci impone di plasmare sul consumo la nostra stessa vita, di trasformare in riti l’acquisto e l’uso dei beni materiali, di fare del consumo la nostra unica fonte di soddisfacimento spirituale e di autorealizzazione … Smaniamo per consumare, eliminare, sostituire ogni genere di oggetto ad un ritmo sempre più rapido2».

A distanza di mezzo secolo quell’istantanea è stata ampiamente attuata dal miliardo ricco del pianeta, schiavizzando il resto del pianeta tra WTO, FMI, e Banca Mondiale, attraverso la legge della giungla, del più forte. Con l’alienazione dei beni, in primis i beni comuni, la regola non è la domanda e l’offerta ma l’esigenza di fare più profitti. La condizione di concorrenza perfetta crolla e fa crollare tutti i filistei, generando monopoli basati su concessioni che si traducono in sfruttamento di risorse senza nessun controllo, in balia del laissez-faire, a scapito della sopravvivenza degli esseri viventi. Sopravvivere diventa quindi il risultato di due processi contrastanti, due modi di raggiungere l’adattamento e di viverlo3. Come una realtà bifronte, l’evoluzione guarda ed agisce in due direzioni distinte ma correlate tra loro: una verso l’interno, verso l’equilibrio del proprio sviluppo, del proprio funzionamento, della propria evoluzione, l’altra verso l’esterno, verso le mutazioni, gli stravolgimenti, le esigenze ed i rapporti con l’ambiente circostante.

Basta smettere di categorizzare il mondo che ci circonda, come se fosse una matrioška semantica che limiti i campi del nostro pensiero, banalizzando la complessità delle nostre esperienze di vita, e ci troviamo a parlare di ecologia scomodando degli economisti. Non a caso economia è “somma”, ancora una volta di oikos (οἴκος), e nomos (νόμος), cioè le regole per gestire la casa, la scienza delle scelte che condizionano la gestione di tutte le risorse disponibili per una comunità, intesa come un luogo di vita, la casa, e quindi implicandone ogni aspetto distributivo di un processo continuo che presuppone un’assunzione di decisioni, fra opzioni che si accettano o che si abbandonano, per regolamentare la gestione di qualcosa che ci accomuna, nei rapporti di lavoro, di produzione e di utilizzo dei beni. Ecologia, economia; facce della stessa medaglia: l’uomo, del sistema in cui nasce, cresce, si riproduce e muore, che è casa globale, chiusa e limitata, le cui risorse non sono infinite, ma dipendenti in modo biunivoco dalle sue attività, da come entrano in relazione e come modificano, talvolta irreparabilmente, le condizioni di vita. E’ stato accertato, per esempio, che non esiste linearità di relazione tra impatto ambientale e redditività pro capite4, quindi è necessario sviluppare pratiche compatibili soprattutto nei paesi più ricchi, con azioni di risparmio di risorse e di utilizzo di sistemi meno impattanti su elementi come acqua, energia, cibo, aria: «la tutela dell’ambiente è necessaria per mantenere i servizi eco sistemici essenziali per il benessere umano. É importante essere in grado di classificare i Paesi secondo il loro impatto ambientale, in modo che i modelli politici con performance “povere” vengano identificati5».

Nonostante 1,6 miliardi di persone non abbiano ancora accesso all’acqua potabile, il genere umano ha già superato il 50% delle disponibilità idriche planetarie6, il picco dell’acqua. In Cina le risorse idriche sono sfruttate oltre il limite e 300 milioni di persone non ne hanno accesso. Stiamo parlando di 5 volte la popolazione italiana che non ha disponibile fonti d’acqua bevibile7. Niente acqua, niente igiene. 2,6 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso ai servizi igienico-sanitari di base, 5 milioni di persone muoiono ogni anno per malattie legate alla mancanza d’acqua potabile8, di questi 1,8 milioni sono bambini: si tratta di 4.900 bambini al giorno9. L’acqua effettivamente utilizzabile è davvero poca e, con popolazione e consumi globali in aumento, le disponibilità idriche si riducono notevolmente. Il 97.5% dell’acqua è negli oceani mentre l’acqua dolce è solo il 2,5% del totale, ma il 68,7% è nei ghiacciai, anch’essi sostanzialmente inutilizzabili, e circa il 30% nel sottosuolo10: parliamo di una quantità 100 volte superiore a quella superficiale, in un equilibrio già compromesso in molte zone del pianeta, quelle più povere. L’Unesco ha pubblicato il primo atlante delle acque sotterranee e transfrontaliere11 identificando ben 273 falde che attraversano i confini dei vari paesi, tutte potenziale, o effettive, fonte di conflitti poiché ciò che un paese estrae viene a mancare all’altro: 68 in America, 38 in Africa, 155 in Europa e 12 in Asia,. La questione ricorda un’altra risorsa che ha scatenato guerre sanguinose: il petrolio.

Altro picco, altra corsa. Oggi il genere umano consuma circa 86 milioni di barili di petrolio al giorno12: il Nord America ne polverizza 23,9 milioni quotidianamente (27,96% della produzione mondiale), l’Europa ne brucia 16,2 milioni, (18,89%), l’area russa si attesta sui 4,3 milioni (5,07%), Asia e Oceania ne fanno fuori circa 25,1 milioni (29,41%), mentre Africa ed il Centro-Sud America ne consumano rispettivamente 3,2 (3,76%) e 6,2 (7,22%). I primi 7 paesi per consumo di petrolio divorano il 50,4% della produzione mondiale, i primi 20 il 75,6% e solo i primi 40 paesi ne consumano addirittura l’88,4%. In questa top 40 l’Africa conta solo 3 paesi che consumano solo il 6,3% della produzione mondiale, l’Asia, con 19 paesi arriva al 40,3%, l’Europa con 12 nazioni consuma il 20,8%, il Sud America con 4 paesi il 8,0% ed il Nord America, solo con Canada e Usa il 28,8%. Dopo questa overdose di cifre la conclusione circa il consumo energetico mondiale è semplice: assumendo come termine di riferimento solo il petrolio, di fatto il vettore più utilizzato, si constata una vera e propria rapina nei confronti dei paesi più poveri ed il conseguente sviluppo di tensioni geopolitiche (Medio Oriente docet).

Ma il maggiore problema ecologico, economico e sociale del pianeta è rappresentato visceralmente dalla scarsità di cibo, l’anello che unisce la continua devastazione ambientale e l’intera economia globale, alla diseguaglianza sociale, e potrebbe condurre al crollo della nostra civiltà13. Manca l’acqua e si perde il 15% dei raccolti di cereali a livello mondiale: circa 175 milioni di indiani e quasi 130 milioni di cinesi si sfamano con raccolti irrigati da falde in esaurimento, mentre l’80% del terreno agricolo di tutto il mondo si sta consumando14. Un cane che si morde la coda: la crescente pressione sui campi, per compensare le perdite globali di produzione agricola, potrebbe vanificare ogni tentativo di limitare i danni. A peggiorare la situazione c’è l’utilizzo degli organismi geneticamente modificati che, con l’impollinazione incontrollata attraverso il vento, avrebbero già provocato dei cambiamenti nelle varietà di prodotti agricoli. Il dramma è che un’azienda potrebbe esercitare un controllo totale sulla politica alimentare ed economica di interi paesi, controllando il patrimonio genetico delle sementi prodotte. Il cibo passa da elemento essenziale per la sopravvivenza all’ennesimo vettore del profitto. Cambiamenti climatici e colture ogm incrementano i processi di desertificazione: si perde il suolo fertile statunitense 10 volte più in fretta rispetto ai tempi naturali di rigenerazione, in Australia 5 volte più in fretta, ed a questo ritmo il pianeta potrebbe rimanere senza suolo fertile nel giro di 60 anni15. Dalla scarsità di cibo al massimo storico dell’indice Fao sui prezzi alimentari16, mentre negli Stati Uniti 26,7% della popolazione è obesa17. Pochi eletti s’ingozzano mentre chi non riesce a procurarsi il cibo, la grande maggioranza degli esseri umani, avranno poche alternative: pagarlo di più, tirare la cinghia, o tertium datur, la rivolta.

Qual è il prezzo sociale di tutto questo? Nel 2009 gli affamati nel mondo hanno superato il miliardo. Solo in Italia, negli ultimi 20 anni, si è triplicato l’inaridimento del suolo e si stima che il 27% del territorio nazionale rischi di trasformarsi in deserto. Non si tratta di “degrado ambientale”, ma di un disastro sociale globale, dove spicca il fenomeno dei “profughi del clima”: circa 50 milioni di esseri umani nel mondo abbandonano le proprie terre, non più in grado di garantire loro la sopravvivenza, per cercare nuove speranze. Per avere un termine di paragone guerre e conflitti causano ogni anno 4,6 milioni di profughi18 globali. Nel 1990 si trattava di 25 milioni e la previsione fu che entro il 2050 si sarebbero superati i 200 milioni, ma le stime potrebbe arrivare fino ad un miliardo di persone costrette a migrare a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici. L’Onu ha risposto ad una media annua di 276 emergenze in 92 Paesi, oltre la metà delle quali causate da calamità, il 30% da conflitti e il 19% da emergenze sanitarie19.

Una delle variabili impazzite è dunque il clima. La Nasa20 ha elaborato i dati satellitari sulla concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre dal 2002 al 2008, evidenziando l’aumento delle temperature, con picchi di concentrazione nell’emisfero nord in primavera e minimi autunnali, mentre nell’emisfero meridionale il ciclo è invertito. Per anni la Fabbrica dei sogni e delle menzogne ha confutato anche la sola possibilità che esista un cambiamento climatico in atto e come per magia milioni di persone, a partire dai governanti, parevano cieche e sorde di fronte a dati di fatto: nei nostri climi temperati è in atto una tropicalizzazione degli eventi atmosferici, piogge brevi ma di grandi intensità, accomunate a danze termiche mai registrate. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti ed il territorio risponde a violenza con violenza, così frane ed alluvioni accorciano i tempi di ritorno. Il 2010 è stato un vero e proprio annus orribilis globale: 950 catastrofi naturali, per il 90% legate ad eventi climatici estremi e alle temperature record, che hanno ucciso circa 295.000 persone e che hanno prodotto danni per 130 miliardi di dollari21. Non è un refuso, 1,3·1011 $, paragonabile al PIL di un paese come il Marocco.

Proposta la soluzione, con il protocollo di Kyōto, trovato l’inganno, banalmente perché la cura proposta è la malattia contratta: il mercato. Regole mercantili ed incentivi sono tra il fondamento principale del trattato di Kyōto, attraverso il Clean Development Mechanism (CDM), che consente alle nazioni di trattare le emissioni di CO2 come un qualunque altro scambio commerciale, partendo dai limiti da rispettare: un sistema di “emissions trading” che commercializza gli inquinanti invece di diminuirli, quote di CO2 che passano a chi non ha la possibilità di acquistarle perché non le emette. In pratica stanno privatizzando, o per non turbare le coscienze riformiste è meglio dire commercializzare, l’aria: un’azienda occidentale continua ad inquinare in patria ma acquisisce quote di emissioni dove non vengono prodotte, “crediti di emissione” in un paese che sta sotto il proprio limite, cap-and-trade ovvero limita e scambia. Così, senza nessuna innovazione per diminuire le proprie emissioni, senza un miglioramento reale del sistema, un’azienda continua ad inquinare diventando proprietaria di una foresta che produce “aria buona”. Sembra fantascienza ma è realtà, nuda e cruda: la Cachoeira (Paraná, Brasile) è una foresta protetta dal carbon offset, acquisito dalla General Motors che la fa presidiare da squadre di vigilantes, impedendo agli indigeni, che trovavano sostentamento da quell’habitat, di toccare anche una sola foglia22. Il risultato pratico è che General Motors continua ad emettere la stessa quantità di CO2 mentre intorno alla foresta di Cochaeira si va creando una cintura di povertà e tutto questo è ritenuto legittimo.

A Copenaghen nel 2009, nella 15a Conference of the Parties (COP15), Washington e Pechino fecero di tutto, riuscendoci, per sabotare gli europei ed ostacolare la conclusione di un accordo vincolante sulla riduzione di emissioni. Sia chiaro che l’Europa non ha meriti, ma la profonda crisi economica ha fatto diminuire le nostre emissioni. Nel documento finale del COP15 ci si è limitati a riconoscere che l’aumento della temperatura media terrestre dovrebbe essere contenuto entro i 2°C, quando ad oggi è dimostrato quanto sia devastante un innalzamento di solo 0,8ºC : «Tra qualche anno i libri di storia ci mostreranno che Copenaghen è fallita perché è stato l’ultimo tentativo di risolvere le sfide del ventunesimo secolo con gli strumenti del ventesimo secolo. Il summit è naufragato perché ha riconosciuto diritti di decisione solo ai governi e ha tenuto fuori la società civile23».

Dal fallimento di Copenaghen si è passati all’inganno di Cancún, in cui si ribadiscono cose tanto drammatiche, come il velleitario margine sugli obblighi di emissioni di CO2 stabiliti (dal 25% al 40%), quanto grottesche: gli Stati Uniti ridurranno le emissioni (ma non ratificano Kyōto!) solo se lo farà la Cina, ad oggi maggior emettitore di gas serra e disponibile all’accordo a condizione di quantificare le emissioni pro capite, visto l’ordine di grandezza della sua popolazione. Condizione non accettabile, punto e a capo. La beffa giunge con l’istituzione del Fondo Verde, amministrato, udite udite, dalla Banca Mondiale, che consentirà ai paesi industrializzati di imporre ulteriori condizioni di limitazione di sovranità ai paesi in via di sviluppo e dalla beffa si è passati all’inganno: con il ricorso ad altri meccanismi di mercato (REED+), si consentirà ai paesi industrializzati di ignorare ulteriormente le loro responsabilità inquinanti.

Non finisce qui: passando dal sostegno dei paesi in via di sviluppo, allo “stanziamento congiunto” di 100.000 milioni di dollari con il mercato della CO2, crediti ed investimenti privati, si attua un percorso a ritroso da scenari imperialisti. Aggiungiamo la scarsa attenzione dei media, in virtù della quale l’opinione pubblica mondiale non si è quasi accorta del summit di Cancùn, in cui si decideva dei destini del pianeta, sommiamoci l’assenza di decisioni strategiche, ed il disastro è fatto. A Cochabamba, alla Conferenza mondiale dei popoli sui cambiamenti climatici e diritti della Madre Terra convocata dalla Bolivia di Evo Morales, bastarono tre giorni per mettere d’accordo 40.000 delegati di 142 paesi (non a caso assenti i grandi devastatori della Terra!) che hanno individuato le cause della crisi sistemica e proposto misure concrete per far fronte alla situazione, includendole nelle negoziazioni preliminari di Cancún, poi inascoltate. Ecco perché la Bolivia non ha firmato l’accordo finale del COP16 ed unico paese al mondo presenterà ricorso alla Corte dell’Aia.

La mano non è più invisibile ma infernale, esporta merci, importa schiavitù, depreda il sud del mondo e globalizza lo sfruttamento, quindi dilania tutti, non solo i poveri del pianeta: si annullano i diritti sindacali, in nome della crisi, dell’aumento di produttività, minacciando delocalizzazioni e l’effetto domino è assicurato. Si parte da Pomigliano, si continua per Mirafiori fino ai più elementari diritti ed il risultato è che nessuno ne avrà più, mentre la Fabbrica dei sogni e delle menzogne non spiegherà a nessuno come mai continua a crescere la produttività e diminuiscono occupazione, salari, stipendi e diritti: «Competere, competere, competere per chi, competere per chi non se lo merita. Competere, competere, competere con chi non sa nemmeno cosa sia domenica24».

Rimangono davvero pochi dubbi circa il fatto che occorre riappropriarci delle regole per gestire la casa, partendo da uno studio della casa stessa. Uno sforzo collettivo in cui l’elemento partecipativo non può essere un ornamento ma la linfa vitale, qualcosa che traguardi non solo la possibilità di un altro modello, ma che assuma l’impegno della necessità di un cambiamento: «[…] i regimi totalitari e dittatoriali si combattono a partire dalle realtà locali, perché i processi e le istituzioni su larga scala sono controllati dal potere dominante. I piccoli successi sono invece alla portata di milioni di individui, che insieme possono dare vita a nuovi spazi di democrazia e libertà. Su larga scala, le alternative che ci vengono concesse sono ben poche. Per converso, la realtà quotidiana ci offre mille occasioni per mettere a buon frutto le nostre energie25».

Aspettando Durban (COP17), passando per Genova (decennale del G8), Dakar (World Social Forum) e traguardando Rio de Janeiro (Earth Summit), la scommessa è soprattutto quella di recuperare la partecipazione attiva, quotidiana, e far sentire la voce di un movimento di uomini e donne che prima pensavano che un altro mondo fosse possibile, ora sono certi che un altro mondo sia necessario: loro G8, noi 6,891 miliardi… e rotti!


Note:

1 “Une société à la dérive”, Cornelius Castoriadis, Seuil, Parigi 2005, p.237
2 “Price Competition in 1955“, Victor Lebow. – Journal of retailing, p.7
3 “Mente e natura. Un’unità necessaria”, Gregory Bateson., Adelphi Edizioni, Milano (1984), p. 295
4 L’environmental Kuznets curve hypothesis mostrava l’evoluzione della distribuzione del reddito nel tempo, correlando Pil pro capite (ascisse) e coefficiente di Gini (ordinate), ovvero a misura della diseguaglianza della distribuzione di ricchezza. La curva indica che la distribuzione del reddito tende a peggiorare nella prima fase dello sviluppo, migliora invece successivamente.
5 “Evaluating the Relative Environmental Impact of Countries”, Corey J. A. Bradshaw, Xingli Giam, Navjot S. Sodhi – PloS ONE (May 3, 2010)
6 L’informazione viene dal Pacific Institute, che usa il termine “picco dell’acqua” nel suo rapporto biennale “The World’s Water”.
7 “Peak Water, China’s Water Crisis, Climate Change Impacts among Pressing Topics Examined”, Pacific Institute, 13 gennaio 2009
8 “Sete: quattro miliardi di persone soffrono per l’emergenza acqua”, La Stampa (20 marzo 2010)
9 Rapporto UNICEF “Progress for Children
10 “Earth’s water distribution“. United States Geological Survey. http://ga.water.usgs.gov/edu/waterdistribution.html. Retrieved (2009-05-13)
11 “Atlas of hidden water may avert future conflict”, Newscientist (24 ottobre 2008)
12 International Petroleum (Oil) Consumption: All Countries, Total OECD, and World Total, Most Recent Annual Estimates, 1980-2007 – U.S.Energy Information Amministration
13 “Plan B 4.0: Mobilizing to Save Civilization”, Lester Brown – Earth Policy Institute (2009)
14 “Britain facing food crisis as world’s soil vanishes in 60 years”, Telegraph (8 febbraio 2010)
15 Idem
16 FAO Food Price Indices [http://www.fao.org/worldfoodsituation/FoodPricesIndex/en/]
17 Vital Signs: State-Specific Obesity Prevalence Among Adults – United States, 2009 – MMWR, August 3, 2010 /59
18 Rapporto annuale UNHCR: “42 milioni di persone in fuga nel mondo. l’80% si trova nei paesi in via di sviluppo” (2009)
19 “A Complex Nexus”, International Organization for Migration, Climate Change and Environmental Degradation (June 10, 2009)
20 “Visualization of Carbon Dioxide Increase and Seasonal Variation, September 2002 through July 2008” http://airs.jpl.nasa.gov/story_archive/CO2_Increase_Sep2002-Jul2008
21 “Overall picture of natural catastrophes in 2010, Natural disasters killed 295,000”, Press release (2011-01-03) – Munich RE
22 “GM’s Money Trees”, Mark Schapiro – Mother Jones (1° dicembre 2009)
23 “Learn from Copenhagen’s failure”, Simon Zadek – Opendemocracy (19 dicembre 2009)
24 “Mao Zeitung”, Perturbazione – Del nostro tempo rubato (2010) – http://www.youtube.com/watch?v=ljN7a1CKeoM&feature=related
25 “Il bene comune della terra”, Vandana Shiva (2006), p.19
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William Domenichini

William Domenichini

Nato alla Spezia nel 1978, è dipendente di azienda. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura,, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano "Fulmine è oltre il ponte" (Ed. Marotta&Cafiero)..

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