Le foreste italiane, la riscoperta di una responsabilità

Le foreste italiane, la riscoperta di una responsabilità

 di Davide Pettenella*

La più grande infrastruttura verde del paese

In un secolo la società italiana è passata da una economia agrosilvopastorale a una economia industriale e successivamente ad una economia dei servizi; questo processo è stato accompagnato da una profonda trasformazione dell’uso del suolo: diversamente da quanto comunemente percepito, in termini di superficie interessata il cambiamento più significativo non è quello che ha visto parte del territorio agricolo trasformato in territorio urbanizzato (senza per questo sottovalutare il gravissimo problema della perdita di suolo agrario), ma la crescita della superfice a bosco, soprattutto su pascoli e coltivazioni di montagna abbandonati.  La superficie forestale nazionale negli ultimi 100 anni è triplicata; dagli anni ‘50 è raddoppiata, portando l’Italia ad avere un coefficiente di boscosità più alto di quello della Germania e della Francia.

E’ cresciuta l’area a bosco, ma non è parallelamente cresciuta la coscienza collettiva, e quindi la responsabilità individuale e della comunità, verso queste aree semi-naturali che ormai coprono un terzo della superfice territoriale del paese tanto da essere state giustamente definite la più grande “infrastruttura verde” del paese.

 

Il crollo dell’economia forestale: una doppia responsabilità delle imprese e dei consumatori

Il fenomeno dell’espansione del bosco è ben lontano dall’essersi fermato, ma è crollata l’economia forestale tradizionale: da 12 milioni di ettari di aree forestali viene un contributo al Prodotto Interno Lordo inferiore allo 0,01% di quello totale nazionale. In effetti, come noto, il PIL non include il valore di una serie di servizi ecosistemici collegati alla presenza di risorse forestali che sono andati aumentando nella percezione dei consumatori ma anche nel loro valore assoluto: la tutela del suolo, la regolazione del ciclo dell’acqua, la fissazione di carbonio (e quindi la funzione di riduzione dei gas di serra in atmosfera), la protezione della biodiversità, la conservazione di valori paesaggistici, l’offerta di aree turistico-ricreative, …

In una impostazione moderna della gestione forestale secondo i criteri della selvicoltura “vicino alla natura”, il prelievo di legname e la produzione di beni commerciali anticipa i processi di decadimento naturale della foresta, un organismo biologico che va incontro naturalmente a processi di invecchiamento. In una logica di gestione multifunzionale, un’attenta attività di prelievo di legname a maturità facilita il mantenimento e potenziamento dell’insieme di servizi pubblici collegati alla presenza di boschi. Le foreste soggette a fenomeni di abbandono e invecchiamento, come molte foreste italiane, creano non pochi problemi di stabilità dei versanti e vulnerabilità agli incendi.

Nel quadro di una corretta gestione forestale, non esiste quindi un trade-off tra produzione di legname e offerta di servizi d’interesse pubblico, ma piuttosto una complementarietà. Non tagliare il bosco maturo, lasciarlo in condizioni di abbandono significa andare incontro a processi di degrado che influenzano negativamente l’offerta di servizi pubblici, almeno nelle condizioni dei boschi semi-naturali italiani, soggetti a secoli di gestione intensa, semplificati nella struttura e nella composizione per specie e quindi ben lontani da quelle condizioni di equilibrio che caratterizzano le foreste vergini.

Con il venir meno delle pratiche di ordinaria gestione forestale si stanno inoltre perdendo professionalità, cultura e paesaggi culturali legati alla gestione dei boschi, nonché l’opportunità di garantire una concreta e attiva tutela del territorio e generare occupazione e imprenditorialità per molte aree interne del paese, una negazione di fatto dei principi della bio-economia.

Per questa ragione è molto negativo il fatto che l’Italia abbia il tasso di prelievo di legname per ettaro di bosco più basso dell’Unione Europa, se si esclude Cipro. Il rapporto tra le attività di utilizzazione forestale e l’industria del legno si è praticamente disarticolato e sempre più viene a concentrarsi nella legna da ardere (più del 70% dei prelievi), il prodotto a minor valore aggiunto ottenibile dai boschi. L’opzione di utilizzo dei boschi non per la produzione di legname impiegabile nei settori dell’edilizia, dei mobili e di altri prodotti ad alto valore aggiunto, ma a fini di produzione di energia, segue una logica opposta a quella dell’economia circolare, in base alla quale le biomasse a fini energetici dovrebbero derivare, in base al principio “a cascata” fatto proprio dalla Strategia forestale dell’Unione Europea, dal riutilizzo dei prodotti a fine ciclo e degli scarti di produzione (EC, 2013).

L’Italia è il secondo importatore europeo di legname e probabilmente il primo di legname illegale (Ciccarese et al., 2009), fatto che carica di una doppia responsabilità le imprese e i consumatori italiani nell’acquisto di prodotti a base di legno: una responsabilità verso i processi di degrado dei paesi esteri fornitori di materia prima e una responsabilità nei confronti dei processi di abbandono delle foreste italiane.

 

Diversa dotazione di risorse; diverse responsabilità

Quasi il 40% dei boschi italiani è di proprietà pubblica, soprattutto dei Comuni, e un’ulteriore non irrilevante estensione di boschi è posseduta da fondazioni, organismi del settore pubblico allargato, enti ecclesiastici; si tratta di proprietà su cui in genere non pesano i problemi di frammentazione fondiaria che condizionano molte aziende private. Queste proprietà fondiarie a maggior potenzialità di offerta di prodotti e servizi d’interesse collettivo che, quindi, potrebbero e dovrebbero costituire il catalizzatore di uno sviluppo dell’economia forestale, non riescono a trovare le modalità organizzative adeguate per attivare la gestione forestale. Non si sono sviluppate forme di gestione affidate a imprese terze, associazioni e consorzi per la gestione diretta, forme di integrazione verticale e altre moderne modalità organizzative che si riscontrano nei paesi del centro e nord Europa.

 

La cultura della difesa dei boschi dalle capre

In effetti tutto il settore è ancora condizionata da una cultura, che si è consolidata in una politica, che è quella dell’Italia della fine dell’800 e dei primi anni del ‘900 quando, a seguito di estesi processi di degrado forestale, il paese si era giustamente dotato di una rigida normativa di vincolo dei territori boscati e di una forza di polizia specializzata nella tutela delle risorse forestali (quella forza di polizia che, con la Repubblica, è diventata il Corpo Forestale dello Stato).

Di fatto il singolo, più potente, strumento di politica forestale è ancora il Vincolo Idrogeologico, uno strumento concepito dal Serpieri negli anni ’20 del secolo scorso. Ma l’Italia forestale è totalmente cambiata rispetto a quegli anni; le capre non sono più il “fessipide dall’unghia luciferina”, come venivano descritte dall’On. Luigi Soriani Monetti in un suo discorso alla Camera dei Deputati il 1 giugno del 1914 (Gaspari, 1994) identificandole come il più grande nemico dei boschi dal quale bisognava proteggersi con un pervasivo sistema di divieti e una amministrazione specializzata in grado di farli rispettare. Da allora le cose sono profondamente cambiate. C’è bisogno di un cambiamento di paradigma: dal “vietare per proteggere e ricostruire il patrimonio” a “gestire il patrimonio, valorizzandolo anche economicamente, per ridurre i costi della sua tutela”.

 

I nuovi soggetti e strumenti dello sviluppo forestale

In questa luce il settore privato, le imprese e gli organismi non profit, possono avere un ruolo fondamentale, nella logica di diminuire i sistemi di comando e controllo pubblico a favore delle forme di partnership pubblico-privato e delle iniziative volontarie di valorizzazione dei prodotti forestali, che non sono solo legname, ma anche funghi, tartufi, castagne, resina, sughero, bacche, erbe medicinali e aromatiche, … così come tutte le attività ricreative, sportive, culturali (si pensi ai concerti in foresta, alle esposizioni di nature art), educative e formative (gli asili e le scuole in foresta), terapeutiche (la foresta-terapia per anziani e portatori di handicap) e di inclusione sociale (lavoro in foresta per detenuti).

Questo insieme di attività ha bisogno di modalità innovative di accesso alla terra, di un supporto attivo delle istituzioni pubbliche, di un sostegno all’innovazione sociale, di modalità trasparenti di comunicazione, di reporting e di labelling che possono diventare anche strumenti per promuovere un consumo responsabile, una premialità per i gestori più avanzati in termini di rispetto di standard ambientali e sociali (la “politica del portafoglio” come definita da Leonardo Becchetti) (Pettenella, 2009). Tra questi strumenti di carattere volontario, promossi dalla società civile, un ruolo significativo è coperto dagli schemi di certificazioni delle buone forme di gestione forestale.

 

I prodotti forestali certificati: premiamo i gestori forestali responsabili

Tra gli schemi di certificazione internazionale di parte terza della gestione forestale responsabile e della rintracciabilità dei prodotti forestali quello più rigoroso, con maggior numero di aziende certificate e con maggiore visibilità presso i consumatori è il Forest Stewardship Council® (FSC®). Il marchio di certificazione FSC garantisce che l’intera filiera dei prodotti legnosi certificati (compresi quelli cartari) derivi da una gestione forestale rispettosa dell’ambiente, socialmente utile ed economicamente sostenibile.

Creato nel 1993, FSC è un’organizzazione internazionale non governativa e non profit che include tra i suoi quasi 900 membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno e la carta, gruppi della grande distribuzione organizzata, ricercatori e tecnici, che operano con lo scopo condiviso di promuovere in tutto il mondo una gestione responsabile delle foreste. FSC è governato dei soci suddivisi in tre Camere (Ambientale, Sociale ed Economica) che rappresentano gli interessi di coloro che interagiscono con il complesso e delicato panorama forestale e che, indipendentemente dal numero di soci appartenente ad ogni Camera, hanno ciascuno un terzo di potere in ogni decisione interna. Questo sistema di governance porta alla necessità di creare sempre condizioni di negoziazione tra le tre parti e, quindi, la ricerca di un largo consenso in ogni processo decisionale (sugli standard, sull’organizzazione interna, sulle politiche di sviluppo del marchio, …).

Per riuscire nella propria missione FSC ha definito un sistema di certificazione volontario e indipendente, specifico per il settore forestale e i prodotti legnosi. Sono previste due tipologie di certificazione: la certificazione della buona gestione forestale per i proprietari di foreste, e la certificazione della Catena di Custodia per le imprese di trasformazione. Per ottenere la certificazione di una foresta o di una piantagione forestale devono essere rispettati i 10 Principi e i 70 Criteri di buona gestione forestale definiti da FSC e universalmente condivisi. Inoltre sono fondamentali, sia nella definizione degli standard che durante il processo di certificazione, la partecipazione e il consenso degli stakeholder, ovvero di tutti i soggetti coinvolti nella corretta gestione delle foreste certificate.

Acquistando prodotti certificati FSC, i consumatori possono sostenere la salvaguardia di ecosistemi fondamentali quali sono le foreste, contribuendo a un processo virtuoso di responsabilità e consapevolezza di cui tutti possono beneficiare. I consumatori sapranno che, grazie alla certificazione, i prodotti che acquistano fanno parte di una catena, valutata in base a standard riconosciuti e credibili, che unisce tutti gli anelli della produzione e che garantisce che all’origine ci sia una gestione responsabile delle risorse forestali, che non ammette tagli illegali né distruzione incontrollata degli ecosistemi.

Più di 2000 aziende in Italia, nelle filiere del legno, della carta e del sughero, sono certificate FSC. Le certificazioni tra le imprese industriali sono nettamente superiori a quelle delle aziende che gestiscono boschi, anche per la dipendenza dall’estero per i consumi nazionali di materie prime legnose, ma il settore dà segni significativi di cambiamento. E’ utile saper cogliere questi segni dei tempi e farci carico delle responsabilità che tutti abbiamo verso la più estesa risorsa ambientale del paese.

*Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-forestali
Università di Padova e Presidente di FSC Italia

 

Bibliografia

Ciccarese L., S.Klohen, M.Masiero, D.Pettenella, L.Secco, 2009. Deforestazione e processi di degrado delle foreste globali. La risposta del sistema foresta-legno italiano. Quaderno ISPRA (97), Roma, p. 295 (http://www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/rapporti/deforestazione-e-processi-di-degrado-delle-foreste)

European Commission, 2013. A new EU Forest Strategy: for forests and the forest-based sector. Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. European Commission, COM(2013) 659 def., Bruxelles, p. 17 (http://eur-lex.europa.eu/resource.html?uri=cellar:21b27c38-21fb-11e3-8d1c-01aa75ed71a1.0022.01/DOC_1&format=PDF)

Gaspari O., 1994. Il Segretariato per la Montagna (1919-1965). Ruini, Serpieri e Sturzo per le bonifiche d’alta quota. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Comitato Consultivo Montagna. IPZS, Roma, p.88.

Pettenella D., 2009. Le nuove sfide per il settore forestale: mercato, energia, ambiente e politiche. Quaderni Gruppo 2013, Ed. Tellus, Roma, p.146 (http://www.gruppo2013.it/working-paper/Documents/Le%20nuove%20sfide%20per%20il%20settore%20forestale.pdf)

Sito web FSC Italia: www.fsc-italia.it

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