Giocare con l’ambiente, senza distruggerlo. Spunti per un’etica eco-civile

Giocare con l’ambiente, senza distruggerlo. Spunti per un’etica eco-civile

di Giorgio Osti*

Si tratta di un’argomentazione sulle etica civile che parte dalle scienze sociali applicate alla questione ambientale. I presupposti sono i seguenti: la distruzione dell’ambiente è sicuramente un grande problema che impegna tutte le articolazioni sociali, non solo i governi, non solo le associazioni ambientaliste, ma tocca anche città, chiese, organizzazioni internazionali, gruppi di interesse, singoli abitanti del pianeta. Questo elemento di trasversalità pone la crisi ambientale in una posizione privilegiata rispetto all’etica civile, intesa come convivenza pacifica fra persone diverse per cultura, status e stile di vita. Queste anche verso l’ambiente hanno atteggiamenti diversificati. Ciò porta a conflitti sui diritti d’uso delle risorse naturali e rende quindi urgente un’etica che possa in fin dei conti incanalarli.

Le scienze sociali si sono focalizzate su alcuni filoni interpretativi della questione ambientale. Le posizioni sono molte (Tacchi 2011); ma possono essere riassunte grossolanamente in due: la prima è un’ottica contrassegnata dal pessimismo, motivata dall’inesorabilità del degrado civile e ambientale dovuto allo sbilanciamento degli interessi. Chiameremo questa posizione political ecology, non a caso una etichetta che richiama la più generale political economy comparata (Bagnasco 2009). Si tratta di un approccio che si distingue dal marxismo (da cui però attinge, Perreault, Bridge, McCarthy 2015) per il fatto che considera eminente il ruolo dello stato nella disputa fra interessi economici (Evans 1989). Rispetto alla crisi ambientale adotta la medesima posizione: essa non è frutto di un dato antropologico (homo antiecologico), ma di sbilanciamenti fra interessi, quello dei detentori del capitale, essendo il più forte. Solo una profonda redistribuzione nell’accesso alle risorse potrà porre fine al degrado ambientale. Il pessimismo deriva dal fatto che il sistema appare difficilmente riformabile dal di dentro.

La seconda ottica può essere riassunta nell’etichetta di eco modernismo, erede di quell’ottimismo tipico della modernizzazione ecologica, una corrente di pensiero tedesco-olandese poi diffusasi in tutto il mondo (Spaargaren 2000). L’analisi non ha un paradigma forte come quella precedente, ma fa leva su una più larga idea di governance, o se vogliamo di razionalità comunicativa. Se si rompono le conventicole tecnologico-affaristiche grazie all’inclusione di più ampie fasce di cittadini nei processi ideativi e industriali (innovazione) e nel governo dei commons arriveranno sicuri benefici agli stessi e all’ambiente[1]. Scelte condivise significano infatti tre cose: senso di responsabilità verso i beni minacciati, maggiore efficacia delle azioni, empowerment, parola magica per indicare la soddisfazione che deriva da una maggiore padronanza di sé. Si tratta di valori liberal-individuali che si cerca di salvaguardare rispetto ad un bene – l’ambiente – che richiede un’ampia concertazione.

La visione pessimistica come quella opposta hanno però un assunto di fondo comune: la razionalità dell’agire umano sia questo dettato da interessi materiali o dal desiderio di emanciparsi in quanto individuo. Il presupposto è sempre lo stesso: un’attitudine che implica l’oggettivazione della realtà esterna e il suo inquadramento in uno schema logico, basato sulla distinzione fra mezzi e fini. In tal senso, anche la ricerca di equità sociale propria dei sostenitori della political ecology rientra in un disegno o schema. Proprio questo è stato individuato da pensatori ecologisti come la matrice della questione ambientale (Della Seta 2007). La completa razionalizzazione del mondo ha portato alla sua suddivisione in parti funzionali ad un disegno di ‘valorizzazione’.

A questa tendenza si contrappongono due atteggiamenti, ritenuti più rispettosi dell’ambiente: la mistica della natura, la quale nasconde un intento fusionista o di pieno inserimento nelle interdipendenze ecologiche, e la cura del creato, tendenza che trova forti assonanze nel mondo cristiano (Lanternari 2003). Entrambe presentano qualche debolezza concettuale: la prima si illude di mascherare l’inevitabile antropocentrismo di ogni filosofia della natura. Il rapporto fra soggetto e oggetto è ineliminabile e resta asimmetrico. In ogni caso, una qualsiasi parità fra uomo e altri esseri viventi, tralasciando l’ambiente inanimato, è di fatto rifiutato dai più. La seconda risulta generica in quanto non in grado di fornire un preciso criterio di imputazione di valore alle entità non umane. In teoria, tutto il creato è meritevole di cura, ma in realtà ognuno si sceglie quali siano gli esseri o gli ecosistemi da salvaguardare. L’etica della cura, pur essendo un enorme passo avanti, in quanto introduce un elemento affettivo verso l’ambiente, al pari della prospettiva estetica (proteggo l’ambiente perché è bello), ricade in un soggettivismo dei criteri di tutela che ci ributta nella questione moderna: come salvaguardare le preferenze di ciascuno a fronte di un ambiente che richiede invece un’azione corale o la riduzione imperativa di alcuni consumi.

Evidentemente, siamo di fronte ad un nodo centrale che riguarda la libertà dell’uomo e il suo primato rispetto alle entità non umane. È difficile fondare un criterio morale universale su qualcosa altro che non sia il valore dell’altro uomo. Serve allora ricercare una prospettiva che possa incrementare il valore strumentale dell’ambiente, ammesso che una certa dose di antropocentrismo è ineliminabile, se non forse anche auspicabile.

Ricapitolando, le maggiori correnti delle scienze sociali non si distaccano da una visione strumentale e razionale della crisi ambientale, l’una in realtà preoccupata delle disuguaglianze sociali, l’altra dell’emancipazione individuale. Le correnti filosofico-religiose alternative alla deriva strumentale hanno visto nella cura amorevole e nella contemplazione estetica (meglio tralasciare quella religiosa poco attuabile negli impianti monoteisti), modi per affrontare la crisi ambientale. Si tratta allora di non sprecare queste ultime, e allo stesso tempo di svelare maggiormente gli atteggiamenti strumentali verso l’ambiente.

Una prospettiva, finora inedita, individua nel gioco non un paradigma alternativo, ma un complemento interessante alle prospettive accennate. Il gioco riceve molte attenzioni come circoscritta pratica sociale riferita allo sport, al tempo libero, alle attività senza scopo di lucro o ancora tipiche di certe età della vita (Salvador 2011-2012). In questo caso, si vuole accentuare il suo valore metaforico, di esemplificazione di tutti gli ambiti sociali, non ultimo quello che ha a che fare più direttamente con l’ambiente.

Vi è un filone della filosofia (Bateson, Fink, Callois, Moltman, Huizinga….) che lo studia proprio in questi termini – metafora della vita – paradigma capace di far capire aspetti essenziali del vivere collettivo (Meo 2010). Il gioco incarna valori e prevede regole, guarda caso entrambe sono fondamenti dell’etica. Poi per arrivare a quella civile basti dire che il gioco è sia una bolla sociale rispettata da tutti i governi (esclusi i più autoritari) sia una dimensione antropologica (se non etologica) universale. In entrambi i casi, esemplifica uno stile di comportamento che viene prima delle forme di governo e quindi si situa in quella sfera della convivenza pacifica che sta alla base dell’ethos civile. Evidentemente, vi sono molti passaggi da specificare, ma questa è la strada scelta per giungere ad una etica eco-civile.

 

Giochi d’acqua

Per rendere la presentazione della prospettiva meno astratta si userà come falsariga il governo dell’acqua; un tema già molto vasto ma sufficiente a questo stadio per fornire una buona esemplificazione. L’idea di fondo è verificare se e come i conflitti e gli accordi sulla gestione dell’acqua siano riconducibili alla metafora del giocare e se da queste analisi emergano elementi paradigmatici per l’etica civile. Una procedura simile è stata applicata all’uso del suolo (Osti 2014).

Una political economy dell’acqua mette esemplarmente in luce il conflitto di interessi, facendo emergere il ruolo ambiguo delle amministrazioni pubbliche, viste come fortemente condizionate dalle imprese private oppure esse stesse come un attore che porta avanti propri interessi corporativi. La contrattualizzazione delle politiche dell’acqua riflette bene questa oscillazione (Bobbio 2008). Le ex municipalizzate, in buona misura trasformate in multinazionali, accerchiano le Authority dell’acqua grazie al loro soverchiante potere tecnico-finanziario e al fatto che il personale politico degli enti locali spinge per entrare nei loro consigli di amministrazione.

In questa situazione l’etica civile si manifesta come denuncia di collusione fra enti pubblici e privati, mascherata da motivazioni tecnico-economiche, e trova un’esemplare casistica nelle proteste sulla gestione dell’acqua potabile. Il valore da difendere è l’acqua bene pubblico, che non può essere sottoposto ai meccanismi del mercato, ma reso disponibile a tutti senza vincoli di reddito o di accessibilità alla rete. La prospezione di una lettura political economy sulle norme etiche che dovrebbero governare l’erogazione dell’acqua potabile trascura però l’analisi di prosumer e cittadini-volontari. Se le amministrazioni locali sono succubi dei signori dell’acqua, non resta ai movimenti della società civile che manifestare lo sdegno morale. Così infatti è stato: il movimento italiano acqua bene comune ha avuto un enorme successo vincendo nel 2011 il referendum contro la privatizzazione dell’acqua. A ciò non è seguita però una corrispondente tensione per una equa redistribuzione dei costi e riduzione dei consumi.

Un’etica civile deve affrontare in maniera più approfondita le modalità di distribuzione fra classi sociali e fra territori dei costi economici e ambientali dell’uso dell’acqua. Un nodo che trascura l’approccio PE è che entrambi i costi menzionati sono molto elevati e non possono essere ricondotti alla semplice formula dell’agenzia pubblica per la gestione e del finanziamento tramite fiscalità generale. Occorre una fiscalità ambientale più spinta che comprenda i reali costi ambientali e si regoli con criteri di progressività sia dei consumi che del reddito, introducendo inoltre correttivi legati alla composizione della famiglia. Una sorta di ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente) dei consumi di risorse ambientali.

La political ecology (conflitto di interessi) spiega meglio quelle situazioni in cui l’asimmetria fra classi o territori è così ampia che i margini di mediazione basati su persuasione, gratuità e deliberazione sono molto ridotti; in quei casi si invoca un cambiamento radicale (Swyngedouw 2005) e l’etica civile diventa un’immediata denuncia delle ingiustizie spaziali e sociali. In altri termini, l’etica civile ispira forti cambiamenti sociali nelle aree svantaggiate e soluzioni più graduali nelle aree in cui già esiste una classe politica capace di mediare fra ‘il livore dei poveri e la paura dei ricchi’.

L’analisi eco-moderna del problema acqua punta molto alla trasparenza e all’innovazione tecnologica. Il bene acqua può essere suddiviso e erogato con precise modalità tecnico-contabili che garantiscono l’immediato apprendimento delle sue qualità e costi. Un costante monitoraggio delle analisi dell’acqua, unito ad una pronta rendicontazione dei consumi individuali diventa il modello auspicato dai movimenti dei consumatori. Etica civile si manifesta come informazione chiara, ampia e accessibile a tutti; una sorta di diritto all’alfabetizzazione dell’uso dell’acqua come è stato a suo tempo per l’istruzione.

Il limite di questo approccio è duplice: da un lato non considera le ineliminabili asimmetrie informative, le quali implicano sempre l’intervento mediatore di una organizzazione fiduciaria. Questa evidentemente non può essere la stessa ditta che eroga il servizio di acqua potabile, ma gruppi di advocacy i quali hanno elevati costi di tempo. Dall’altro, non vi è alcuna considerazione per i limiti all’uso dell’acqua; la libertà di consumo è sacrosanta nelle ideologie liberali. Solo azioni educative sono tollerate, ma sempre senza alcuna imposizione anche velata sui livelli e modalità d’uso.

Il punto di forza di questo approccio è la ricerca di ulteriori vantaggi competitivi nell’uso dell’acqua. Se ad esempio si dimostra che un buon impianto di riciclaggio permette di risparmiare sui costi della bolletta e allo stesso tempo si crea un invaso ad uso ricreativo si ottengono tre obiettivi: minori costi per la famiglia, stimolo all’industria dei dispositivi di riciclaggio, introiti per una attività ricreativa a pagamento. Gli eco-modernisti insistono molto su questo: il progresso tecnologico è inarrestabile, così come la trasformazione irreversibile dell’ambiente (antropocene), tanto vale indirizzarli verso crescita economica e empowerment individuale.

Una prospettiva basata sul gioco non toglie quasi nulla a questi approcci, semmai perfeziona e inquadra intuizioni già presenti. Tre aspetti appaiono rilevanti 1) essa dà spazio sia agli interessi che ai valori; è facile constatare come il movente del gioco sia strumentale e simbolico allo stesso tempo; 2) lo stato assume una fisionomia più nitida: è arbitro e garante della norma positiva; in tal senso l’approccio coglie il meglio dell’istituzionalismo che vede nelle regole un elemento primordiale e ineliminabile del vivere civile, 3) non dà per scontato il risultato, come avviene per la political economy, negativo per via delle asimmetrie sia per l’eco-modernismo che riecheggia l’ottocentesca fiducia incondizionata nel progresso tecnico-scientifico. Il risultato nel gioco, se non è truccato, è imprevedibile; a volte la matricola batte la squadra blasonata. Su questo punto interviene un elemento teorico notevole: la distinzione fra game e play; in italiano non esiste la distinzione per cui serve mantenere le parole in inglese; esse rimandano alla dialettica fra regole consolidate (game) e il giocare che continuamente le interpreta e le riformula (play).

 

Servitù di allagamento: un gioco e un test per l’etica civile

Le servitù di allagamento (Sda) sono dispositivi normativi che impegnano l’ente pubblico competente per la sicurezza idraulica a pagare una cifra prestabilita ai proprietari di quei terreni designati come allagabili in caso di piena. Dirottando l’acqua in queste aree, evidentemente agricole o verdi, si riducono i danni di allagamenti di aree urbane e industriali. Le servitù appaiono come un interessante compromesso fra prevenzione o riduzione del danno e tutela delle casse dello stato, dato che altre soluzioni come l’acquisto o l’esproprio di terreni per allagamenti programmati sarebbero molto più elevati. I costi delle alluvioni vengono redistribuiti fra la collettività, qui rappresentata dall’ente pubblico competente, e i proprietari di quei fondi geo-posizionati favorevolmente rispetto alle piene dei fiumi.

Si tratta di un evidente caso di etica civile, nel senso che una norma innovativa (in Italia vi sono poche regioni che l’hanno adottata) come la Sda permette di mediare fra le diverse esigenze dei cittadini, non ultima quella di avere degli indennizzi, e la sicurezza idraulica di intere comunità territoriali. Nel caso specifico del bacino di laminazione di Caldogno (Vicenza), la Sda è stata lo stratagemma che ha sbloccato lo stallo provocato dai ricorsi dei proprietari dei terreni e permesso la realizzazione dell’opera.

La teoria game/play porta in luce diversi elementi: la Sda serve come deus-ex-machina, il dio evento che risolve una situazione drammatica. Il caso di Caldogno è interpretabile come una lunga partita su più scacchiere non solo perché c’entravano più livelli amministrativi, ma anche perché giocata da attori aventi sia interessi materiali che dimostrativi. E’ noto infatti come nelle gare sia importante per colui che soccombe non ‘perdere la faccia’. L’istituzione di una servitù di allagamento ha permesso all’organizzazione degli agricoltori (Coldiretti) di uscire indenne dalla mediazione fra proprietari e Regione Veneto. L’onore delle armi per gli sconfitti, come la celebrazione festosa per i vincitori sono elementi fondamenti delle convivenze civili. Si tratta infatti di non umiliare oltremodo l’avversario adottando una precisa ritualità (Goffman 1997, 2003).

La partita del bacino di laminazione di Caldogno, pur avvalendosi di un game abbastanza consolidato – la Sda è già codificata in dottrina – non è stata esente da tentativi di riformulazione (play). Infatti, il bacino di laminazione è stato criticato per i costi comunque molto elevati (circa 40 milioni di euro) rispetto ad opere di prevenzione di più piccola scala diffuse sul territorio; esso risponderebbe alla logica delle grandi opere, grazie alla quale si ottengono ingenti distribuzioni di risorse fra gli attori della filiera delle costruzioni e un innegabile effetto dimostrativo, indispensabile per ottenere consenso elettorale. Inoltre, c’è chi ha criticato tutto l’iter di attuazione della servitù di allagamento perché basato su calcoli che non considerano i reali danni che gli agricoltori subiscono (Tempesta 2016). La metafora del gioco mette allora in luce un elemento tipico della sociologia della scienza che è la dialettica fra saperi e loro dimostrazioni pratiche. È evidente che un ruolo fondamentale viene giocato da esperti di varia natura, dai giuristi agli ingegneri, passando per agronomi e pedologi. In gioco vi è il prestigio di ciascuna disciplina cui l’opera in questione dà risalto variabile.

In casi come questi l’etica civile emerge allora come una gigantesca ‘costruzione sociale’ che si avvale di innovazioni socio-tecniche capaci di riformulare la distribuzione dei benefici materiali e immateriali, ventilando un nuovo equilibrio fra le parti. Esso però è puntiforme e discontinuo. L’etica civile ha questo carattere di precarietà. Pensiamo alla progressività delle tasse, una norma volta a far convivere famiglie con elevate disparità di reddito. È un principio continuamente insidiato da aggiustamenti legislativi e furberie pratiche.

Ciò nonostante, la teoria game/play, diversamente dagli approcci costruttivisti (Meo 2010), non si appunta solo sulla formazione di norme e simboli collettivi, continuamente in lotta fra loro (logomachia), ma permette di portare alla luce strategie, alleanze, amicizie; sono tutti elementi relazionali dall’esito imprevedibile, giocati su diverse piazze. In tal senso, dobbiamo rivalutare il ruolo delle piazze che nel gioco sono stadi e palazzetti dello sport, mentre per l’etica civile sono gli spazi fisici delle città accessibili a tutti.

In conclusione, gli spunti che derivano dalla questione ambientale per approfondire la natura dell’etica civile sono tre:

  • Essa è un espediente di carattere argomentativo che crea o fa balenare un nuovo equilibrio fra entità diseguali; non ha però solo una dimensione cognitiva ma anche comunicativa; ha bisogno di luoghi fisici dove manifestarsi, dimostrarsi, celebrarsi, consacrarsi. Queste tradizionalmente sono le assemblee, le piazze e da poco anche i social network.
  • Si forma attraverso una lunga dialettica, intesa come capacità di derubricare il conflitto distruttivo e delegittimante l’avversario a competizione, aperta, leale, ma pur sempre asimmetrica; nel gioco quasi l’avversario viene soppresso o delegittimato, pena la perdita di prestigio del vincitore.
  • L’etica civile è intrecciata con lo stato, senza il quale non vi sono regole; essa non attinge ad un primordiale assetto di perfetta autoregolazione dei gruppi; un’autorità costituita ad essi esterna è presente fin dal’inizio della convivenza civile. I frequenti riferimenti alle tasse fatti nel testo ne sono chiara testimonianza.

*professore associato di
Sociologia dell’ambiente
e del territorio

 


Riferimenti bibliografici

Bagnasco, A. 2009. Teoria del capitale sociale e “political economy” comparata, Stato e mercato, n. 3 pp. 351-372

Bobbio, L. 2008. Le politiche contrattualizzate. In G. Borelli (a cura di). Tracce di governance. Comunità e sviluppo locale nelle Media valle del Po, Milano: FrancoAngeli, pp. 71-89.

Della Seta, R. 2007. Illuminista, riduzionista, antropocentrico: i paradossi del pensiero ecologico, in R. Della Seta, D. Guastini, Dizionario del pensiero ecologico. Da Pitagora ai no-global, Carocci, Roma, 13-40.

Evans, P. 1989. Predatory, developmental and other state apparatuses. Sociological Forum, 4(4), 561–587.

Geels, F.W. and J.W. Schot 2007. Typology of sociotechnical transition pathways. Research Policy. 36(3), 399–417.

Goffman, E. 1961. Encounters. Two studies in the Sociology of Interaction, Bobbs-Merrill, Indianapolis, (tr. it. Espressione e identità. Gioco, ruoli, teatralità, Il Mulino, Bologna 2003)

Goffman, E. 1997. La vita quotidiana come rappresentazione, Il mulino, Bologna.

Lanternari, V. 2003. Ecoantropologia: dall’ingerenza ecologica alla svolta etico-culturale, Dedalo, Bari

Meo, O.  2010. Per una teoria filosofica del gioco, Linguaggi 21.0, n. I.

Midttun, A. e N. Witoszek 2015. Towards Ecomodernity. In N. Witoszek e A. Midttun (eds), Energy and Transport in Green Transition – Perspectives on Ecomodernity, Routledge, London, pp. 174-198.

Osti, G. 2014. Etica civile e gestione della terra, in S. Morandini (a cura di), Rinnovare gli ambiti di vita. Declinazioni dell’etica civile, Edizioni Messaggero, Padova, pp. 70-86

Perreault, T., G. Bridge, J. McCarthy 2015 a cura di. The Routledge Handbook of Political Ecology, Routledge London

Salvador, M. 2011-2012. In gioco e fuori gioco. Il ludico nella cultura e nei media contemporanei, Tesi di Dottorato,Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano.

Spaargaren, G. 2000. Ecological modernization theory and the changing discourse on environment and modernity, in Environment and Global Modernity, a cura di G. Spaargaren, A. Mol e F. Buttel, London, Sage, pp. 41-71.

Swyngedouw, E. 2005. Dispossessing H2O: The Contested Terrain of Water Privatization. Capitalism Nature Socialism, 16(1), 81-98.

Tacchi, E.M. 2011 (a cura di). Ambiente e società. Le prospettive teoriche, Franco Angeli, Milano.

Tempesta, T. 2016, Problematiche estimative connesse alla realizzazione di bacini di laminazione, Seminario di studio: “Progettazione integrata dei bacini di laminazione per la difesa dagli allagamenti”, Portogruaro (VE) – 13 maggio

 

[1] Il sostegno in senso fisico-ambientale deriva dal manifesto eco-modernista (http://www.ecomodernism.org/), le traduzioni più socio-politiche di questo orientamento alla razionalità comunicativa derivano dalla teoria della transizione (Geels, Schot 2007) e dal modello relay race, letteralmente ‘gara a staffetta’ in cui si immaginano fattori tecnologici, di mercato, istituzionali e culturali concorrere in sequenza verso il traguardo. La metafora vuole contemperare sia la multidimensionalità di processi a diversa velocità sia il fatto che vi è una gara fra modernità a diverso contenuto ecologico (Midttun, Witoszek 2015).

(Visited 2 times, 1 visits today)
redazione

redazione

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.