Paesaggio, Toscana niente sarà più come prima

Paesaggio, Toscana niente sarà più come prima

di Eros Tetti

Nell’ultimo anno la scena politica della Toscana è stata occupata da quella che possiamo tranquillamente definire la “guerra del paesaggio” storia complessa e articolata che proveremo a narrare e rendere comprensibile a tutti coloro che non l’hanno seguita e vissuta fin dall’inizio.

Il Presidente della Regione Enrico Rossi, nel suo primo mandato da Governatore della Toscana (2010) aveva deciso di dotare la regione di un “Pit con valenza di Piano Paesaggistico” ( di seguito solo Piano) e ha affidato questo compito all’ Assessora Anna Marson con le deleghe all’ Urbanistica e Pianificazione del territorio e paesaggio. In  Italia i piani paesaggistici sono obbligatori per legge dal 1985 con la famosa Legge Galasso (legge incorporata poi dal “Codice dei beni culturali e del Paesaggio”). Questa legge prevede tutta una serie di vincoli per il paesaggio ed impone che le Regioni si dotino di piani per regolarne la gestione. Una legge, come abbiamo detto, in vigore dal 1985 ma fino ad oggi trascurata e solo la Puglia, qualche mese fa, ha varato il primo piano del paesaggio. Qui nella regione famosa in tutto il mondo per i suoi paesaggi il duro compito è stato svolto dall’ Assessora in collaborazione con alcune Università, ed ha prodotto un Piano accurato e minuzioso corredato da cartografia e schede d’ambito per un totale di oltre 4000 pagine.

Dopo circa 4 anni di lavoro meticoloso nel gennaio del 2014 la Giunta regionale approva e vara la prima bozza di Piano che vede immediatamente una levata di scudi soprattutto da parte delle aziende di escavazione del marmo delle Alpi Apuane.  Ma cosa conteneva di così inaccettabile la prima versione del Piano? Prevedeva la chiusura delle 80 cave site nelle aree contigue al Parco intercluse all’interno dei confini stessi. Il Piano prevedeva per questi territori una dismissione progressiva dell’escavazione a fronte di uno sviluppo alternativo che sarebbe stato determinato da un “Piano di sviluppo integrato” prevedendo la nascita di economie durevoli all’interno delle attuali aree contigue intercluse.

Un’ opzione che ai più ragionevoli sembrava la via migliore per salvare posti di lavoro e tutela ambientale, mentre, agli occhi degli estremisti dello sviluppo e del profitto, risultava inaccettabile pensare ad una riconversione economica dalle attività di cava alle economie durevoli, anche se le attività estrattive  nulla hanno a che fare con la salvaguardia ambientale. Al termine di questa prima fase, si arriva a luglio 2014 con una nuova approvazione di un Piano che non prevede più questo tipo  di opzione ma mantiene sostanzialmente le tutele per tutte le aree ricadenti sotto il “Codice dei beni culturali e del Paesaggio” ovvero i punti della Legge Galasso qui sotto riportati, per opportuna conoscenza o riflessione, così individuati:

  1. a) i territori  costieri  compresi  in  una  fascia  dì profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i terreni elevati sul mare;
  2. b) i territori  contermini  ai laghi compresi in una fascia di  profondità  di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi;
  3. c) i fiumi,  i  torrenti  ed i corsi d’acqua iscritti negli elenchi di cui al testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed  impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n.  1775, e le relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna;
  4. d) le montagne per la parte eccedente 1.600 metri sul livello del mare per la catena alpina e 1.200 metri sul livello del mare per la catena appenninica e per le isole;
  5. e) i ghiacciai e i circhi glaciali;
  6. f) i parchi  e  le riserve nazionali o regionali, nonché i territori di protezione esterna dei parchi;
  7. g) i territori  coperti  da  foreste e da boschi, ancorché’ percorsi  o  danneggiati  dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento;
  8. h) le aree  assegnate  alle  università  agrarie e le zone gravate da usi civici;
  9. i) le zone  umide incluse nell’elenco di cui al decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448;
  10. l) i vulcani;
  11. m) le zone di interesse archeologico.

L’esposizione di questi punti ci è utile per capire che per l’assessora Marson si è trattato solamente di applicare la legge nazionale al territorio delle Alpi Apuane dove l’escavazione selvaggia sembra dettare legge senza alcun rispetto per le obiezioni che la popolazione solleva e le norme che il Codice nazionale impone:  una vera e propria attività di lobby sostenuta dalla politica locale a discapito dell’ambiente e delle ricadute sul territorio.

Una volta scaduto il periodo delle osservazioni e giunti  all’approvazione finale del Piano, il PD -con la firma del consigliere Pellegrinotti della Garfagnana – presenta un maxiemendamento che di fatto annulla completamente il Piano e lo rende un mero suggerimento scientifico di cui i Comuni potranno o non potranno tenere conto. La presentazione di questo emendamento riesce però a compattare tutto il fronte dei comitati, dei cittadini e delle associazioni ambientaliste che finalmente si presentano uniti di fronte a questo tipo di proposta che mira ad affossare un Piano di tutela lungimirante di uno dei paesaggi più famosi al mondo.

A questo punto comincia un braccio di ferro tra chi vuole la tutela del lavoro e del paesaggio e chi coltiva gli “interessi privati” – come ha detto la stessa Assessora Marson – un braccio di ferro che ha visto il presidente Rossi adoperarsi per trovare una soluzione che possa conciliare posizioni apparentemente tanto lontane e contrastanti, con il continuo arrampicarsi sugli specchi del mondo politico. In questo periodo il fronte di tutela è sceso in piazza con la presenza di oltre 500 persone a Firenze seguito, nei giorni dell’approvazione, da un presidio di circa 100 cavatori che lamentavano, dietro errate considerazioni, il pericolo della perdita del posto di lavoro. Il presidio ha stupito tutti sia per il numero esiguo dei partecipanti (ricordo che il “Coordinamento della attività estrattive del Parco delle Alpi Apuane” aveva affermato che erano a rischio oltre 5000 posti di lavoro diretti, ovvero operai di cava), sia per i contenuti anche sconfessati dalla stessa CGIL che ne ha preso prontamente le distanze definendolo “una strumentalizzazione dei lavoratori, un modo per fare pressione sulla Regione sulla base di un testo, quello del Pit, che ancora deve essere modificato”.

Nel frattempo il fronte di tutela fa salire la petizione online ad oltre 100.000 firme  ed allo stesso tempo il Presidente Enrico Rossi presenta un suo emendamento che si suppone “scontenterà tutti”. Nel frattempo, visto che il Piano è co/pianificato col Ministero dei beni culturali e del Paesaggio, interviene nella discussione anche la Sottosegretaria Borletti Buitoni la quale evita eventuali stravolgimenti. L’intervento del Ministero, che ovviamente non può accettare un Piano che va contro le leggi nazionali, sarà fondamentale.

Dopo varie spallate, rinvii e slittamenti il 28 Marzo la Regione Toscana riesce ad approvare il suo Pit con valenza di Piano Paesaggistico, uno strumento che potrebbe in un qualche modo avviare questo territorio verso una nuova dimensione superando il vecchio modello economico e indirizzandolo verso nuove e più sostenibili economie durevoli. Ma come ogni storia a lieto fine occorre prima di tutto trarne una morale ed è ovviamente quella che, senza movimenti che dal basso spingono con forza verso nuove direzioni, la politica ricalcherà solamente le istanze dei potenti e infine, la cosa più importante in questa storia sarà capire come verrà veramente applicato il Piano e come si svilupperà tutto il dibattito attorno ad esso. Quel che è certo è che i movimenti, sempre più uniti e maturi, possono diventare protagonisti nel processo di trasformazione e cambiamento, agendo in prima persona.

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redazione

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