Ciove… palanche? (*)

Ciove… palanche? (*)

di Stefano Sarti
Vice Presidente Legambiente Liguria

In questi giorni la Liguria sta franando. Non è catastrofismo esprimersi in questi termini perché sono arrivati ormai al pettine i guasti decennali che una logica dello sviluppo insostenibile e miope ha generato. Il disastro ferroviario ad Andora (per pura fortuna senza vittime) seguito della frana di una parte della collina sulla ferrovia non è che l’ultimo tassello di una gestione del territorio scellerata, che ha reso edificabile zone a rischio, che ha realizzato varianti urbanistiche in piani che non a caso non le prevedevano in origine, dove troppo spesso si è derogato ad una pur importante legge come quella che ha istituito, ormai da decenni, il Piano Paesistico Territoriale Regionale. Sono stati realizzati porti turistici devastanti (pensiamo per citare un solo esempio a quello di Imperia) non solo per l’impatto sugli specchi acquei interessati, ma anche per le colate di cemento alle spalle degli stessi. E sono poi lì sul piatto progetti di grande impatto, come Marinella a Sarzana ed Ameglia e il Waterfront della Spezia.

Solo poche settimane fa, a sinistro presagio di tutto questo, la giunta regionale prima e il consiglio regionale poi (con la formula largamente inaccettabile di un “collegato” alla finanziaria regionale) hanno prorogato i termini del piano casa della Regione Liguria.

Adesso i suoi effetti perdurano fino al prossimo Giugno 2015.

E qui appare già un primo problema: il piano casa, che ha avuto un iter travagliato e lungo, con numerose scritture, e con una formulazione definitiva nel 2011, era stato concepito come misura straordinaria per dare “ossigeno” all’edilizia.

Le prime formulazioni del piano, infatti, erano devastanti: ampliamenti previsti anche nelle aree Parco, estesi anche agli edifici condonati, che riguardavano anche strutture con classificazione di capannone artigianale e/o industriale.

Solo a seguito di una forte mobilitazione queste previsioni sono state in parte ritirate, in parte ridimensionate, in parte (quelle sui capannoni) trasferite in un altro provvedimento, non da meno preoccupante.

La proroga è una cosa negativa in sè, non tanto per una ragione ideologica ma perché l’occasione della scadenza al 31/12/2013 degli effetti del piano poteva rappresentare il punto di avvio per una ridefinizione di quella che deve essere una seria politica di sostegno all’edilizia in Liguria (settore che conosce una forte crisi e che non saranno certo le poche centinaia di interventi aperti in tutta la Regione grazie al piano casa a risollevare).

Rigenerazione urbana, ristrutturazione e piccoli ampliamenti del già costruito, efficienza e risparmio energetico e termico, energie rinnovabili. Sono questi i temi da mettere in cantiere se si vuole davvero rilanciare l’economia legata all’edilizia.

Incentivi nazionali e regionali, premialità, nuovi strumenti urbanistici, nuovi regolamenti edilizi con precise norme in questo senso: tutto ciò era doveroso fare, invece di prorogare meramente i termini di un piano che, anche se non è più quella prima devastante versione di cui si parlava appena sopra, contiene ancora punti inaccettabili ed ambigui.

Ad esempio si concedono ampliamenti fino al 30% su case di dimensioni fino a 200 metri cubi,  percentuale che scende al 20% per quelle comprese tra 200 e 500 metri cubi, al 10% per quelle tra 500 e 1000 e ad un massimo di 170 metri cubi per quelle comprese tra i 1000 e 1500 metri cubi.

Ci sarebbe da obbiettare che, se il provvedimento fosse stato davvero pensato per le piccole necessità, per i nuclei famigliari, parlare di 1000 metri cubi ed oltre, fino al massimo di 1500 metri cubi non può certo riguardare case largamente diffuse e legate alle esigenze famigliari di base. Ma la cosa più grave è che le previsioni di ampliamento appena ricordate, così come la premialità verso chi sposta la propria casa da situazioni di rischio (basti pensare a quello di carattere idrogeologico) prevedono un 35% in più di ampliamento; ossia, una percentuale ben  maggiore di quelle che prevedono le norme nazionali in materia.

Così come la norma che prevedeva, nella prima versione, l’applicazione degli effetti del piano anche ai Parchi e che è stata ridimensionata ma non completamente cancellata. La norma non esiste più per quelli che possono essere definiti parchi con attinenze territoriali sulla costa, mentre per i cosiddetti parchi interni o montani spetta al consiglio direttivo del parco stesso decidere se dare una sorta di nulla osta alla sua applicazione anche nei loro territori.

Complessivamente quindi un provvedimento che conteneva (e contiene) ambiguità, indicazioni sbagliate ed addirittura fuorvianti per quella che deve essere una corretta gestione del territorio.

Poteva essere l’occasione per una svolta vera, per questo territorio fragile ed aggredito com’ è la Liguria, senza preclusioni ideologiche da parte di alcuno, ambientalisti compresi. Ma con la chiarezza necessaria su ciò che davvero serve al territorio e che serve ai cittadini.

 

(*) Il titolo rimanda alla canzone in dialetto di Vernazza (Cinque Terre) composta da Piva-Greco che dà il titolo al CD pubblicato nel 2006 da DEVEGA Edizioni musicali. La “pioggia di denaro” (“ciove palanche”) di cui si canta è quella caduta sui residenti del parco e dei comuni delle 5 terre a seguito di operazioni – private e pubbliche – di marketing turistico, che portano ad affittare case e cantine e ad abbandonare il lavoro tradizionale e di protezione del territorio per un guadagno più immediato.

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redazione

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