Murati Vivi da 150 anni, una borgata senza mare

Murati Vivi da 150 anni, una borgata senza mare

di William Domenichini 

Beato te, o Poeta della scienza che riposi in pace nel Golfo dei Poeti.
Beati voi, abitatori di questo Golfo,
che avete trovato un uomo che accoglierà
degnamente le ombre dei grandi visitatori. 

Sem Benelli, orazione funebre a Paolo Mantegazza

Un luogo che stregò Sand, Byron, Shelley, incantò Böcklin, Blechen, Turner, Luzzati e molti altri, ha una magia che nasce all’alba e si spegne nelle sue acque al tramonto, solcata dai gozzi dei “muscolai” e dei pescatori: il golfo dei Poeti. Questa magia è interrotta senza incanto da una città di mare, La Spezia, il cui sviluppo urbanistico la trasformò da villaggio di pescatori in città di mare senza accesso al mare. Nel 1862 iniziano i lavori dell’unica piazzaforte navale sabauda, opera d’ingegneria militare. Il golfo è un luogo sicuro, ideale per una comunità di pescatori, ma evidentemente ancora più ideale per un Arsenale.

Così La Spezia conosce la modernità, con fonti d’acqua deviate, un impianto urbanistico stravolto, chiuso dal porto a levante e appuntato dal fiorire dell’industria bellica, della centrale a carbone, del rigassificatore di Panigaglia. A ponente, verso Portovenere, lungo una strada voluta da Napoleone Bonaparte sempre per scopi militari, sorge l’abitato di S. Vito di Marola. Domenico Chiodo, la mente dell’Arsenale, volle che lì sorgessero due ampie vasche per la lavorazione del legname, e lì sorsero, abbattendo l’antica chiesa, disseppellendo i morti del cimitero, ritrovando reperti e edifici romani che andranno quasi totalmente persi. Intorno al 1880 posarono le prime pietre del muro di cinta e iniziò una vita da Murati Vivi[1], iniziò la Resistenza: di giorno i militari alzavano il muro che precluderà l’accesso al mare, di notte i marolini lo demolivano. Solo con l’arrivo delle sentinelle i lavori furono ultimati. Un’odissea centenaria di una borgata marinara senza mare, costretta a convivere con la presenza ingombrante delle forze armate, le crescenti preoccupazioni e i divieti, il loro impatto ambientale: la presenza di sottomarini nucleari, lo stoccaggio di rifiuti speciali come i residui delle lavorazioni fatte nelle officine arsenalotte, la presenza di amianto[2], i depositi di carburante interrati.

La Guerra Fredda “sgela”, cambiano gli scenari internazionali e le strutture militari iniziano un lento e inesorabile abbandono dell’Arsenale. Dalla piazzetta di Marola, nelle fredde sere invernali, si scorgono le luci delle vasche di S. Vito, illuminando scheletri che fino a qualche decennio prima brulicavano di operai arsenalotti. Le rivendicazioni della popolazione assumono sempre più legittimità e ragionevolezza, chiedendo la restituzione di ciò che oggi nessuno utilizza più, ma la ragione spesso contrasta gli interessi, che ancor più spesso non sono collettivi, e iniziano a emergere criticità ambientali di una realtà separata dalla vita civile da mura, fili spinati e sorveglianza armata.

Solo nel 2003 scoppia lo scandalo “campo in ferro”: un’area d’ormeggio in disuso, dove tutti i dipartimenti della Marina Militare dell’Alto Tirreno hanno scaricato rifiuti di ogni tipo [3]. I vertici della Marina alla Spezia scrivono alle autorità che non vi è alcun rischio, e viene redatta una perizia tecnica nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla magistratura: oltre a rifiuti di vario genere si rinvengono amianto, oli minerali, metalli pesanti, materiali radioattivi tra cui uranio impoverito. Per evitare che la pioggia dilavi in mare, il campo in ferro viene coperto, ma sotto il telo, resta lì.

Se al tramonto del XIX secolo i militari furono costretti a piantonare il muro perché i marolini non lo demolissero, oggi i discendenti di chi smontava le pietre nottetempo hanno intrapreso una lotta di rivendicazione degli spazi a mare per la loro borgata, rappresentando in pieno l’esigenza di un’intera città, chiedendo la restituzione delle aree militari inutilizzate, risanate dai danni ambientali di cui sono oggetto. Sogno o utopia, dalle esigenze fondamentali nascono energie e progettualità assai concrete, così i Murati Vivi di Marola chiedono la restituzione alla città degli spazi inutilizzati all’interno dell’Arsenale Militare, per creare opportunità di lavoro attraverso strutture turistiche, realizzando aree urbanizzate che ridiano spazio sociale negato per oltre un secolo.

L’Arsenale spezzino si estende per quasi 85 ettari (18 di superficie coperta, 6 bacini di carenaggio e muratura, 2 galleggianti, 2600 metri di banchine, 13 km di rete stradale interna). Una città nella città, un enorme spazio che fa gola a carriere politiche, plusvalenze immobiliari, industrie e cantieri[4] e malavita organizzata[5]. Alle istituzioni spetterebbe il compito di garantire il rispetto di tali precedenze, programmazione, scelte che tutelino la collettività, ma il silenzio è assordante.

La cittadinanza attiva rompe il silenzio dell’immobilismo di chi non vuole scegliere da che parte stare. La Resistenza è partigiana e odia gli indifferenti, così il progetto dei Murati Vivi viene presentato, obiettivo principale la riqualificazione di una vasta area attualmente in possesso della Marina Militare seppur in disuso, trasformando una realtà pensata e realizzata in 150 anni di storia italiana e militare, con finalità e caratteristiche che rispondano all’esigenza di riappropriarsi del territorio, del suo spazio e dell’approccio al mare. Dalle condizioni favorevoli (ampie aree inutilizzate, approdi presenti, fondali idonei) a un’analisi delle difficoltà (relazioni con la Marina, accessi, viabilità, lontananza dalle maggiori infrastrutture), passando per le opportunità di riconversione economica e di risocializzazione dell’area, si articola una visione complessiva, globale, che punta a mettere la parola fine alla carcerazione urbanistica di una borgata e dei suoi marinai, in relazione allo spazio terrestre e al mare del golfo dei Poeti.

In un contesto costellato di vertenze ambientali, nascoste come insidie nell’Arsenale, la risposta è un processo di riappropriazione, per utilità sociale, dell’area, e finalmente uno sforzo di visione delle attività umane compatibile con l’ambiente circostante, soprattutto in termini di mobilità. Così riconquistare lo spazio a mare significherebbe aprire una porta, uno spazio a chi quel rapporto fu negato, per oltre un secolo, mentre sul suolo le greenways e gli adeguamenti viabilistici ridisegnerebbero una nuova gestione degli spazi di Marola, con nuove prospettive per il borgo stesso. Gli interlocutori delle istituzioni locali sono il Comune e il Sindaco. Informati del progetto, non hanno reagito, nonostante l’apprezzamento informale del lavoro e delle idee che esprime. Una linea pilatesca che consente di tenere le mani libere da qualsiasi impegno formale, evitando di affrontare questioni dirompenti come le bombe ecologiche innescate, come il campo in ferro, lo stoccaggio di amianto, la presenza e l’impatto dei sommergibili nucleari nella rada o dei serbatoi sotto il paese.

Con i vertici della Marina alla Spezia si sono faticosamente ottenuti due incontri, di cui uno interamente incentrato sulla presentazione del progetto: si sono raccolti commenti pienamente positivi e la proposta di formare un tavolo per discutere e reimpostare il progetto perché fosse approvato dalla Marina Militare. Nonostante i diversi tentativi di ottenere ulteriori incontri, gli uffici del Dipartimento dell’Alto Tirreno non hanno più risposto alla sollecitazione, salvo poi scoprire, nei fatti, che la Marina ha accordato all’Autorità Portuale spezzina l’utilizzo di alcuni moli dell’Arsenale, prospicienti al muro marolino, per l’attracco di navi da crociera.

I Murati sono sempre più vivi. Il Sindaco dice che chiedere alla Marina le aree in disuso è come andare a casa di qualcuno e dire “quella stanza lì non ti serve, dammela”. Un Murato Vivo dice che la Marina è venuta e prendersi i luoghi che ci servivano per vivere, chiediamo ciò che è nostro, e non lo vogliamo contaminato.


Note

http://murativivimarola.blogspot.it/

2 La Spezia detiene il triste primato mondiale per densità d’incidenza del mesotelioma pleurico.

3 Angelo Mastrandrea, “Una discarica all’uranio a La Spezia”, Il Manifesto, 11 febbraio 2004.

4 Thomas De Luca, “Papi: bene le aperture della Marina e le strategie, ma forse è troppo tardi”, cittadellaspezia.com, 13 lugilo 2012.

5 Domenico Lusi, “La camorra puntava all’Arsenale”, Il Secolo XIX, 12 maggio 2013.

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William Domenichini

William Domenichini

Nato alla Spezia nel 1978, è dipendente di azienda. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura,, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano "Fulmine è oltre il ponte" (Ed. Marotta&Cafiero)..

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