Las Pezia, il mare che non c’è

Las Pezia, il mare che non c’è

di William Domenichini

La Spezia è una città di mare? Stante la possibilità di accedervi, il legame tra l’economia e la socialità cittadina e questo elemento naturale, è assai scarso. Inutile sottolineare come le scelte passate abbiano influito enormemente nell’assottigliare questo rapporto (porto, cantieri, arsenale, aree militari, rigassificatore) a meno di non ricondurci nella capacità di leggere storicamente lo sviluppo del paese, in rapporto alle condizioni sociali in cui certe scelte si sono sviluppate, un esercizio utile a superare certi superficialismi, ma assai più interessante è porsi la questione di come modificare​ questo stato reale di cose., migliorandolo.

Per riappropriarsi di un’anima perduta non basta certo una stazione crocieristica​, un elemento che si limita ad un modello intensivo e mal strutturato. In questi anni è paradigmatico come, un elemento di possibile variabile dei flussi turistici, invece che sostenuto da infrastrutture tali da renderlo compatibile, sia lasciato libero di gestire flussi in modo “mercantilistico”, senza un sistema di accoglienza che li gestisca o, banalmente, sia lasciato ad inquinare l’aria del golfo dei poeti. Per taluni motore di un turismo sostenibile, per altri il vaso di pandora. Non basta nemmeno tentare di recuperare piccoli pezzi di un mosaico, nell’intento di accontentare qualche pugno di voti. Per ricostruire un rapporto tra una comunità ed un elemento naturale fondamentale, tra una realtà sociale e la sua economia, che abbia con il mare un rapporto compatibile e sostenibile, non basta riappropriarsi di qualche lembo di territorio o aprire una finestra con vista sul golfo.

Ci troviamo innanzi una situazione complessa alla quale occorrono risposte articolate, partendo da un’analisi che abbia degli elementi valoriali solidi, qualcuno potrebbe dire, dei punti fermi.

Se la costa di levante fa i conti con le pile di container, quella di ponente ha, nella maggior parte dei casi, i conti aperti con ciò che resta dei recinti spinati sormontati da cartelli arrugginiti: area militare, sorveglianza armata. La Marina Militare è un elemento che in parte ha contribuito alla trasformazione della città, sulla cui valutazione si possono esprimere fiumi di inchiostro e di parole, ma che, in forza ad un esproprio che dura da oltre un secolo e mezzo, l’ha privata di una sua identità, se non addirittura di un suo futuro.

Cosa si sorveglia dietro quel muro? La lista passa da capannoni in eternit abbandonati, inutilizzati, fatiscenti, ad aree desolate, cimiteri di bettoline o di mezzi di vario genere, fino ad una vera e propria discarica, dichiaratamente abusiva, come il campo in ferro, dove, carte della Procura alla mano, vi è sepolta ogni sorta di rifiuti tossici. Hic Rhodus, hic salta. Prima ancora di guardare ad un processo di riappropriazione degli spazi che conducono a mare, nel versante ponente dei Poeti, occorre necessariamente passare per le forche caudine della bonifica di quelle aree, dalla rimozione di tutto ciò che la Marina militare ha accumulato di nocivo all’ombra del muro che la separa dal resto della città. Sembrerebbe un sillogismo semplice, eppure c’è chi nega che tutto ciò esista. La Marina militare fa spallucce (gallonate, s’intende) quando si pongono questioni come le bonifiche e la classe politica spezzina sembra non sentire, non vedere, ma in compenso straparla, come in occasione della manifestazione delle Proloco, a Cadimare, nel sentire fasce tricolori decantare la bellezza dei nostri luoghi da un palco che sorge prospiciente il campo in ferro.

Non possiamo non tener conto del fatto che l’Arsenale spezzino ha una dimensione enorme (quasi 9 ettari), ragion per cui, la sua eventuale riconversione sarebbe un processo articolato ed assai complesso. Potrebbe tale processo essere in capo ad un soggetto unico? Un sindaco, per esempio? Ad una domanda retorica simile occorre rispondere con un metodo, che è prioritario rispetto al contenuto ed alla forma di un’eventuale​ (o meglio, auspicabile) trasformazione delle aree militari. Il metodo della partecipazione, di un dibattito pubblico che dia la possibilità di audire tutte le parti sociali chiamate in causa, dalle associazioni ai singoli cittadini, partendo dai bambini, e di tener conto delle osservazioni, delle critiche e delle proposte che spingono dal basso, in modo da tracciare una linea condivisa, una sintesi dei bisogni e dei sogni, sulla base di una visione.

Il nostro percorso qui trova accidentato. Chi in città ha prodotto in questi anni una visione? Mentre chi amministra (sindaco Peracchini) mette la testa sotto la sabbia facendo finta di non sapere e chi governa (sottosegretaria Pucciarelli) porta avanti il progetto Basi blu, facendo passare un’opzione scellerata in grado di chiudere ogni prospettiva di visione della città, proviamo a dare una traccia, nella quale si possa immaginare come un’enorme spazio come quello arsenalizio, repetita iuvant, bonificato dai veleni, in cui si fondi una nuova idea di città, in relazione al suo rapporto, ad oggi mancante, con il mare. Gli spazi che sarebbero a disposizione potrebbero facilmente andare incontro a molteplici esigenze: quelli dello sviluppo dell’economia del mare, a partire dalle mitilicolture e della pesca, passando per tutto ciò che ha a che fare con la cantieristica, non catapultata in uno spazio appetibile, ma messa in relazione con le esigenze del territorio, il consolidamento delle necessità delle comunità, lo sviluppo di un turismo che coniughi la cultura, i preziosi beni che taluni non conoscono nemmeno (Storia e cultura appena al di là del muro. Donati: “Recuperiamo San Francesco Grande e avviamo uno scavo a Porta Marola” – Citta della Spezia), in un sistema realmente sostenibile. Chiaramente ogni opportunità produttiva dovrebbe avere come unico vincolo quello di un insediamento​ ambientalmente​ compatibile con le comunità limitrofe, in altre parole non nocivo.

Riacquistare spazi a mare per una comunità, come quella marolina, privata dell’elemento di continuità​ con il suo mare ben 150 anni fa, è un percorso che passa necessariamente per una pianificazione consapevole. Questo aspetto necessita di un’analisi attenta, perché se Marola, e gran parte delle borgate del ponente, si stanno lentamente trasformando in borghi ricettivi, stracolmi di case vacanze, B&B ed affini, ogni operazione​ urbanistica dovrebbe​ puntare non solo a riqualificare e ricostruire un rapporto​ tra comunità e mare, ma a cercare di invertire​ la tendenza mercificatoria dello stato edificatorio e guardare alle esigenze abitative in senso stretto, cercando di dare una spinta alla ricostruzione di un tessuto sociale ormai sfilacciato. Un elemento che raramente viene affrontato sulla costa di ponente riguarda la mobilità, sia negli aspetti legati alla sua sicurezza sia sotto il profilo della sostenibilità, eppure, ciò nonostante, oggi raggiungere Portovenere può diventare un’impresa con un mezzo privato.

Non si tratta semplicemente di strumenti da adottare, questi sono tecnicismi sui quali si trova sempre una soluzione, ma si tratta di comprendere innanzitutto “il come”, di un processo che non ci veda accontentarci di un piatto di lenticchie o di un posto barca, ma che punti a disegnare un futuro che sia degno di tale nome per una città che da tempo ha perduto la capacità di sognare concretamente.

(Visited 41 times, 1 visits today)
William Domenichini

William Domenichini

Nato alla Spezia nel 1978, è dipendente di azienda. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura,, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano "Fulmine è oltre il ponte" (Ed. Marotta&Cafiero)..

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.