Alla ricerca della solidarietà perduta

 

di Paola Sartoni

In poco più di cento pagine, questo libretto di Sandro Antoniazzi “Lo spirito del sindacalismo” (Edizioni Cittadella Editrice, 10 euro) fa scoprire i valori dell’associazionismo sindacale a quanti non li conoscono e fa ricordare i motivi – che portarono in passato alla militanza – a coloro che attualmente se ne sono allontanati delusi. Una riflessione doverosa, da condividere magari in gruppi ristretti, prima di tornarne a discutere in  ambito più ampio. Perché, come il libro evidenzia, il significato dell’impegno e il contesto nel quale esercitarlo sono cambiati nel corso del tempo e soprattutto perché attualmente pro e contro il sindacato si stanno sprecando frasi fatte e un bel po’ di luoghi comuni, specie da parte di chi ha avuto poco da spartire con un reale percorso sindacale.

I primi capitoli, oltre a fornire un utile excursus storico del sindacato nato con la rivoluzione industriale, ne precisano le tensioni ideali e la forte connotazione etica. Per l’autore, percorso storico e matrice etica sono inscindibili. Anche se, contro il liberismo sfrenato del nascente capitalismo, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la 1° Internazionale, 1864) non ebbe il tempo di elaborare una strategia dove “l’emancipazione della classe operaia (fosse) opera della classe operaia stessa”, frammentata dalle divisioni ideologiche e dall’urgenza marxista di costituire un partito che rendeva prioritaria la politica rispetto all’azione sindacale. Eppure, laddove l’impronta tradunionista (Gran Bretagna) e quella sindacalista (Francia) hanno mantenuto più a lungo sganciata l’azione sindacale dall’attività politica, le associazioni dei lavoratori sono riuscite a portare avanti le loro rivendicazioni in modo meno “ingabbiato” e talvolta più innovativo.

In Italia, specie per chi non ha memoria o pratica sindacale, CGIL-CISL-UIL sono state spesso abbinate a quelli che superficialmente venivano definiti “i partiti di riferimento”. E dunque vale la pena leggere questo libro per ricordare che gl’intrecci all’interno delle tre confederazioni sono stati ben più complessi di questo schema semplicistico e per scoprire che l’idea di un sindacalismo autonomo – sostenuta in passato da una minoranza – si è diffusa oggi su scala internazionale. D’altra parte, la globalizzazione pone problemi che mostrano come pensiero e strategia sindacali siano ancora inadeguati a fornire risposte alle nuove caratteristiche sociali ed alle prospettive future, rischiando di relegare l’impegno alla protesta e all’indignazione. Secondo l’autore “il primo obiettivo da porsi è ripristinare il valore del lavoro: tutto il lavoro, ogni lavoro (…) per valorizzarlo, trasformarlo, renderlo il più umano possibile. Ciò comporta l’abbandono di passate distinzioni come quella tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, o della centralità del lavoro industriale, che hanno fatto sì che molti altri lavori fossero trascurati e spesso svalorizzati”, come lo è il lavoro domestico e in generale quello delle donne, o i lavori umili, oppure basti pensare alla scarsa considerazione per il lavoro artigianale …

D’altra parte la maggior parte dei lavori odierni sono di tipo relazionale, dato il grande sviluppo del settore terziario, e “allora la cura delle relazioni diventa una prospettiva sindacale, non solo un fatto di esclusiva responsabilità personale, ma fattore di quel bene comune a cui il sindacato aspira”. La caduta della solidarietà in ambito lavorativo, conseguenza della progressiva scomparsa delle grandi fabbriche e dell’omogeneità della classe operaia non impedisce la possibilità estesa di una nuova socialità, di una relazionalità che il sindacato deve sviluppare nei nuovi ambiti lavorativi. Questa dimensione sociale prevalente non deve però riguardare soltanto il sindacato. “Una politica intrisa di rapporti sociali e una società capace di elaborare e di esprimere politica” costituirebbero il tessuto per dare nuova dimensione e riconoscimento sociale al tema del lavoro. E magari renderci nuovamente innamorati della politica.

di Paola Sartoni

In poco più di cento pagine, questo libretto di Sandro Antoniazzi “Lo spirito del sindacalismo” (Edizioni Cittadella Editrice, 10 euro) fa scoprire i valori dell’associazionismo sindacale a quanti non li conoscono e fa ricordare i motivi – che portarono in passato alla militanza – a coloro che attualmente se ne sono allontanati delusi. Una riflessione doverosa, da condividere magari in gruppi ristretti, prima di tornarne a discutere in  ambito più ampio. Perché, come il libro evidenzia, il significato dell’impegno e il contesto nel quale esercitarlo sono cambiati nel corso del tempo e soprattutto perché attualmente pro e contro il sindacato si stanno sprecando frasi fatte e un bel po’ di luoghi comuni, specie da parte di chi ha avuto poco da spartire con un reale percorso sindacale.

I primi capitoli, oltre a fornire un utile excursus storico del sindacato nato con la rivoluzione industriale, ne precisano le tensioni ideali e la forte connotazione etica. Per l’autore, percorso storico e matrice etica sono inscindibili. Anche se, contro il liberismo sfrenato del nascente capitalismo, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (la 1° Internazionale, 1864) non ebbe il tempo di elaborare una strategia dove “l’emancipazione della classe operaia (fosse) opera della classe operaia stessa”, frammentata dalle divisioni ideologiche e dall’urgenza marxista di costituire un partito che rendeva prioritaria la politica rispetto all’azione sindacale. Eppure, laddove l’impronta tradunionista (Gran Bretagna) e quella sindacalista (Francia) hanno mantenuto più a lungo sganciata l’azione sindacale dall’attività politica, le associazioni dei lavoratori sono riuscite a portare avanti le loro rivendicazioni in modo meno “ingabbiato” e talvolta più innovativo.

In Italia, specie per chi non ha memoria o pratica sindacale, CGIL-CISL-UIL sono state spesso abbinate a quelli che superficialmente venivano definiti “i partiti di riferimento”. E dunque vale la pena leggere questo libro per ricordare che gl’intrecci all’interno delle tre confederazioni sono stati ben più complessi di questo schema semplicistico e per scoprire che l’idea di un sindacalismo autonomo – sostenuta in passato da una minoranza – si è diffusa oggi su scala internazionale. D’altra parte, la globalizzazione pone problemi che mostrano come pensiero e strategia sindacali siano ancora inadeguati a fornire risposte alle nuove caratteristiche sociali ed alle prospettive future, rischiando di relegare l’impegno alla protesta e all’indignazione. Secondo l’autore “il primo obiettivo da porsi è ripristinare il valore del lavoro: tutto il lavoro, ogni lavoro (…) per valorizzarlo, trasformarlo, renderlo il più umano possibile. Ciò comporta l’abbandono di passate distinzioni come quella tra lavoro produttivo e lavoro improduttivo, o della centralità del lavoro industriale, che hanno fatto sì che molti altri lavori fossero trascurati e spesso svalorizzati”, come lo è il lavoro domestico e in generale quello delle donne, o i lavori umili, oppure basti pensare alla scarsa considerazione per il lavoro artigianale …

D’altra parte la maggior parte dei lavori odierni sono di tipo relazionale, dato il grande sviluppo del settore terziario, e “allora la cura delle relazioni diventa una prospettiva sindacale, non solo un fatto di esclusiva responsabilità personale, ma fattore di quel bene comune a cui il sindacato aspira”. La caduta della solidarietà in ambito lavorativo, conseguenza della progressiva scomparsa delle grandi fabbriche e dell’omogeneità della classe operaia non impedisce la possibilità estesa di una nuova socialità, di una relazionalità che il sindacato deve sviluppare nei nuovi ambiti lavorativi. Questa dimensione sociale prevalente non deve però riguardare soltanto il sindacato. “Una politica intrisa di rapporti sociali e una società capace di elaborare e di esprimere politica” costituirebbero il tessuto per dare nuova dimensione e riconoscimento sociale al tema del lavoro. E magari renderci nuovamente innamorati della politica.

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redazione

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