Il Parco di Portofino, un parco “diverso da tutti”

Il Parco di Portofino, un parco “diverso da tutti”

Intervista al Dott. A. Girani, direttore dell’Ente.

Il Dott. Girani mi riceve nella splendida sede dell’ente parco, a Santa Margherita Ligure. Conosco il territorio del parco per “averlo camminato” in lungo e in largo sino alla fine degli anni ’90; dal sito Internet, invece, mi sono fatta un’idea dell’Ente e della sua politica. Il Dott. Girani mi racconta di una sperimentazione biennale del sito che è ancora in fase evolutiva: “il sito è lo specchio di un Ente che vuole comunicare tutte le sue dimensioni: giuridica ed economica, territoriale e dei servizi resi. Il sito non informa, comunica; una sezione consente di interagire direttamente e pubblicamente con il Direttore.” E’ quest’idea di trasparenza e interazione con il territorio che l’intervista cerca di indagare.

Come si realizza, all’interno di un’area protetta, uno sviluppo in grado di coniugare gli interessi dei residenti, dei visitatori e dell’ambiente?
O i cittadini diventano i primi azionisti del parco, che riesce con questi alleati a condurre l’economia del territorio in un’ottica di sostenibilità, o non ce la facciamo; il discrimine è la capacità del parco di rapportarsi con gli amministratori locali, la qualità di questi amministratori e dei tecnici, la loro capacità di proporre soluzioni capaci di sbloccare delle situazioni. Ci vogliono competenze e modestia, due qualità da perseguire e coltivare per affrontare con efficacia il lavoro quotidiano, sapendo che si possono fare degli errori e che bisogna farne il meno possibile. Perché realizzare uno sviluppo equilibrato è complesso, molto, molto più che parlarne.

Qual’è la sua idea di zona protetta?
Le posso parlare utilmente di quello che facciamo nel nostro parco, un parco che è “diverso da tutti” (non necessariamente in meglio) perché non nasce per rilanciare una zona depressa ricca di valori ambientali, ma per tutelare il territorio dal bracconaggio di questi valori; il turismo qui esisteva prima del parco, che è nato nel ’35, ed era già la base economica di questo territorio. Qui nasce il parco. In un ambito in cui il turismo e l’economia sono legati al paesaggio, il parco è stato (e in certo senso è ancora) il gendarme del paesaggio. La nostra è una scelta controcorrente, in un mondo in cui ci si prodiga per far andare chiunque ovunque rendendo alla fine banali le zone poco accessibili che, al contrario, sono estremamente interessanti. A differenza di altre realtà, che tendono a riempire di turisti ogni singolo spazio disponibile, noi privilegiamo l’elemento della qualità ambientale, il verde, il silenzio contemplativo, i tempi di percorrenza non frenetici, l’eliminazione dei must, delle cose da vedere per forza. La qualità ambientale è ciò che cerca in genere il turista di Portofino, ed è anche una delle finalità del parco, e questo concorda direi abbastanza bene con il contesto socioeconomico del territorio, che fonda la sua offerta sulla qualità in un contesto di mercato turistico in forte mutamento.

Come si controlla l’eccessiva affluenza turistica?
Intanto non si fa promozione su tutti i canali possibili, noi ne facciamo poca (anche perchè non possediamo grandi risorse) e mirata; abbiamo identificato percorsi tematici per i turisti colti, altri molto difficili per gli specialisti, altri per i diversamente abili. Anziché insistere per rendere fruibile l’intero territorio, abbiamo scelto di attrezzarne “bene” una parte, e mantenere integra la restante. Abbiamo 80 km di sentieri, che chiunque può percorrere gratuitamente, lungo i quali abbiamo posizionato dei sensori per capire dove va la gente. Nel momento in cui avremo una quantità di dati significativa, faremo delle interviste strutturate sulle aspettative dei visitatori e allora saremo in grado di valutare quali ulteriori eventuali strategie attuare. Siamo un Ente che privilegia la cura del suo territorio rispetto alla comunicazione, e quindi privilegia al marketing territoriale le politiche agricole.

…che devono essere anche sostenibili economicamente: come operate in questo ambito?
Negli anni abbiamo fatto bandi per la pulizia degli uliveti, per l’assegnazione di mini frantoi oleari, per la pulizia dei boschi; quest’anno abbiamo incentivato il recupero dei muretti a secco: stanziati 50.000 euro e ricevuto richieste per 75.000, le abbiamo soddisfatte tutte. Mettiamo in atto interventi che combattono l’elemento dell’abbandono e favoriscono il recupero delle attività umane, dove abbiamo valutato che il territorio possa essere “usato” equilibratamente; in questo modo conteniamo il dissesto idrogeologico e valorizziamo l’aspetto paesaggistico naturale e antropico. Stiamo recuperando alcuni itinerari mettendo in sicurezza parti di versante: abbiamo speso 900.000 euro (300.000 il comune di Camogli) nel percorso pedonale S. Rocco Camogli…

Politica assistenziale o attivazione?
Favorendo l’agricoltura e le produzioni di qualità attiviamo gli “azionisti del parco” rendendo la manutenzione del territorio e la valorizzazione del paesaggio economicamente vantaggiosi per tutti. Il Parco non possiede terreni e non gestisce nulla di produttivo, noi attiviamo gli alleati che abbiamo sul territorio; direttamente ci preoccupiamo di pulire il bosco e i sentieri, attraverso convenzioni con gli agricoltori locali e/o cooperative. Abbiamo collaborato con la Provincia e altri parchi, e istituito corsi di formazione, per qualificare le produzioni di olio e miele attraverso le analisi di alcune di queste produzioni… orientandoci in ogni caso al mantenimento del paesaggio: un paesaggio nel quale l’uomo, le sue attività, la sua cultura sono in equilibrio, vorremmo durevole, con i valori naturali.

Dal vostro sito si rileva un forte impegno nella formazione. Chi sono i vostri discenti?
Noi ci preoccupiamo di formare o almeno informare i produttori, gli operatori locali, le strutture ricettive minori, le guide naturalistiche ambientali; a questi ultimi teniamo corsi per informarli sui valori locali (e non solo) e a loro abbiamo chiesto di riferirci le richieste dei visitatori. Si tratta di attività poco da prima pagina di giornale, sono lavori da formica, ma secondo me è ciò che deve fare un Parco come il nostro che ha vissuto anni di inutile sovraesposizione mediatica.
Ritengo che neanche la divulgazione dei valori si debba risolvere in una mera promozione turistica, nobile attività per cui ci sono i Sistemi Turistico- Locali: strutture deputate dalla legge ad occuparsi di questo tema); con loro possiamo collaborare per fornire gli strumenti più adeguati, che riguardano la nostra missione di tutela ambientale. In tal senso abbiamo realizzato una cartina in carta/non carta impermeabile, contenente i dati ricavati con le innovative tecniche GPS: vi sono segnati tutti i paletti indicatori installati sul territorio, le aree di sosta, i valori storico ambientali principali… Abbiamo un piano editoriale per rinnovare le guide escursionistiche (ne abbiamo stampato ben tre diverse, alcune delle quali tradotte in diverse lingue), per documentare le attività culturali, le abbazie del territorio, tutto ciò che deve far conoscere e veicolare un parco.

Ancora sul tema della trasparenza e del coinvolgimento: con quali strumenti? Ho visto che avete partecipato all’Agenda XXI della Provincia di Genova.
Il processo di Agenda XXI è davvero importante, coraggiosa l’assessora che lo ha avviato; tuttavia i soggetti principali (i sindaci delle principali cittadine del comprensorio, ad esempio) erano assenti. L’assessora che ha promosso e concluso questa iniziativa ne ha tirato fuori il meglio che si potesse ottenere, testimoniando della difficoltà di realizzare alcuni processi partecipativi, altrove in Italia e in Europa, molto diffusi ed apprezzati. Sfortunatamente, poiché abbiamo fondi e personale limitati, non siamo in grado di intraprendere un processo di Agenda XXI: non possiamo fare comunicazione rivolta al territorio a scapito della qualità del paesaggio e del monitoraggio dell’ambiente. Noi dobbiamo prima fare alcune cose, e poi altre, altrimenti non operiamo nella direzione per la quale l’Ente è stato istituito.

Lei ha parlato di monitoraggio, non sentite l’esigenza di adottare un Sistema di Gestione Ambientale che renda verificabili oggettivamente e pubblicamente le vostre azioni?
Non abbiamo fondi sufficienti per poterlo fare e ritengo che intraprendere un’attività simile (importantissima) richieda un impegno non indifferente e la volontà di certificare dei processi di miglioramento costanti e consistenti. Mi capita di vedere certificazioni di situazioni discutibili (ancorchè rilasciate in forma corretta) ed enti che mantengono una certificazione che pare ai più (magari ingiustamente) immeritata: un possibile boomerang per chi certifica e per l’Ente che si certifica. Purtroppo siamo un paese nel quale troppi non rispettano regole importanti e ritengono che il controllo pubblico sul proprio operato sia un’ingerenza indebita. Io desidero un controllo effettivo sul mio ente perché un punto di vista esterno – e la nostra conversazione lo testimonia – porta ad una discussione costruttiva e a ragionare insieme si cresce; detesto la chiusura e la strumentalizzazione delle opinioni altrui. Mi piace il confronto e mi sento buonista, conseguentemente un po’ “stupido” come molti che si sono formati negli anni ‘70, quando John Lennon cantava you may say I’m a dreamer, but I’m not the only one (puoi pensare sia un sognatore, ma non sono il solo). Io auspico che tra 5 anni questo ente sarà più consolidato e potrà ambire all’adozione di un Sistema di Gestione Ambientale. Poi, se avessi oggi la disponibilità di finanziamenti in tal senso, proporrei al Consiglio di attivare da subito il processo, perché ritengo che sarebbe un buon modo per far crescere dritta la pianta. Anche se fino ad oggi cresce dritta ugualmente…

Lei è direttore di questo parco: come ha ottenuto questo incarico?
Ho vinto un concorso a cui si erano iscritte 62 persone e sono arrivate in fondo alle prove solo 3; mi ha facilitato un curriculum ecologista, che data dagli anni ’70 quando ho scelto di studiare Scienze Naturali anziché Chimica, Fisica o Matematica, come avrebbero voluto i miei genitori e i miei insegnanti del tempo. Ho diverse pubblicazioni, alcune anche scientifiche, e mi sono occupato di educazione ambientale per oltre 15 anni; successivamente ho vinto il concorso per diventare direttore del Parco dell’Aveto, dove ho lavorato per 7 anni misurandomi con innovazioni per me importanti; infine, sono qui a ricominciare da capo e rimettermi in discussione con un nuovo “rompicapo”: il Parco di Portofino.

Quali sono le differenze tra un parco nazionale ed uno regionale?
Intanto di legislazione, poi di finanziamenti decisamente superiori… Fatte le debite eccezioni e senza pensare che questa generalizzazione sia applicabile a tutti, mi pare che i parchi regionali, anche se hanno meno finanziamenti, siano obbligati ad aderire maggiormente alle loro realtà locali; sono meno scossi da movimenti politici generali, come ci testimoniano i numerosi commissariamenti di importanti parchi nazionali. I parchi regionali sembrano garantire una gestione meno soggetta a terremoti politici e più vicina ai cittadini. Forse, anche, più trasparente.

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redazione

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