CDR: i perché dei nostri no, la sensatezza del nostro si

CDR: i perché dei nostri no, la sensatezza del nostro si

di William Domenichini

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Per parlare di rifiuti, prima di intraprendere la via delle dissertazioni politiche, occorre anzitutto scomodare Antoine Lavoisier e partire dalle vie della razionalità e del buon senso, sfatando il mito dell’incenerimento come pratica che faccia svanire magicamente i rifiuti prodotti dalla società dei consumi e del PIL, riappropriandoci del nostro vocabolario ed iniziando a bandire, dalla “neolingua”, termovalorizzazione, termine inesistente in nessuna forma giuridica ma solo nei salotti televisivi lontani centinaia di chilometri dalle ciminiere che emettono sostanze tossiche e rendimenti energetici bassissimi tali da valorizzare poco o nulla.

Come accade spesso, per sostenere qualcosa occorre partire dalla negazione di qualcos’altro, per l’appunto l’incenerimento. Nel caso spezzino l’oggetto del contendere è il CDR, acronimo di Combustibile Derivato da Rifiuto con cui si definisce un insieme di residui di carta, plastiche, rifiuto organico, ottenuto sovvagliando e bioessicando la parte indifferenziata dei rifiuti nell’impianto di trattamento meccanico-biologico di Saliceti (nel comune di Vezzano Ligure) e, una volta prodotto e certificate le qualità chimico-fisiche (potere calorifico inferiore, ecc.), pronto per bruciare.

Problema numero 1: alla Spezia è stata (fortunatamente) impedita la costruzione dell’impianto di incenerimento. Problema numero 2: l’azienda gestore del servizio rifiuti (ACAM) naviga in acque pessime e rischia di affondare sotto il peso considerevole di oltre 250 milioni di debiti. Come risolvere la questione in un sol colpo? In periodi in cui il “pensiero unico” va per la maggiore e la coscienza critica collettiva è un fenomeno assai raro, c’è chi pensa di conferire il Cdr nella centrale Enel spezzina di Vallegrande “Eugenio Montale”, a due passi dal centro città e nel cuore di un hinterland di circa 130.000 abitanti, co-incenerirlo con il carbone e, apparentemente risolvere in un solo colpo la chiusura del ciclo dei rifiuti ed i problemi finanziari di Acam

Per comprendere l’inefficacia di tale proposta e la falsità di tale assunto, basta fornirsi di calcolatrice e buon senso. La provincia della Spezia produce 136.873,10 tonnellate di rifiuti solidi urbani (RSU) effettuando una raccolta differenziata pari al 23,84% (ultimo dato confermato – Osservatorio provinciale sui Rifiuti – Provincia della Spezia, 2007). Partendo da questi dati di delinea uno scenario in cui, da una frazione di rifiuti indifferenziati pari a 104.238,97 tonnellate si ricaverebbe una quota di Cdr pari a 52.119,49 tonnellate. Ipotizzando che Acam venda il Cdr ad Enel ad un prezzo unitario di 50 €/ton., otterremmo un ricavo pari a 2.467.970 €. Una cifra risibile rispetto allo stato debitorio di Acam, tuttavia la questione è ancora più ampia e vi sono altre riflessione che non vengono mai affrontate dal “Partito dell’incenerimento” ma che hanno interesse nella questione.

La premessa è che stiamo parlando di ipotesi, ma ragioniamo come se domani la centrale Enel incenerisse il Cdr (salvo il fatto che occorrerebbero almeno 36 mesi per l’adeguamento impiantistico necessario a modificare le caldaie, i filtri per emissioni di diossine e furani, dotare l’impianto di un trituratore di Cdr, ecc.): in primo luogo il Cdr prodotto a Saliceti non basterebbe per co-combustinare il carbone poiché la “Montale” brucia circa 1.350.000 tonnellate di carbone all’anno e la legge prescrive che il Cdr co-combusto non superi il 5% del combustibile primario nel caso corrispondenti a 67.500 tonnellate, ovvero 15.380,51 tonnellate in meno rispetto al Cdr che produrremmo (52.119,49 tonnellate). In secondo luogo, tolti i costi di adeguamento della centrale (a carico di Enel naturalmente) occorre fare fronte ad una serie di costi di gestione del rifiuto che nessuno menziona e che si vuol far finta che non esistano, ma ci sono e nessuno dice a carico di chi siano: la centrale spezzina produrrebbe (incenerendo 52.119,49 tonnellate di Cdr) 312.716,9 mc3 di emissioni atmosferiche, di cui 44.197.3 ton. di CO2 (… e il protocollo di Kyoto?), ma soprattutto 15.635,85 tonnellate di ceneri da incenerimento (C.E.R. 10.00.00 – Rifiuti inorganici provenienti da processi termici e 19.00.00 – Rifiuti da impianti di trattamento rifiuti, ecc), 1.563,58 tonnellate di ceneri volanti (come le precedenti), 1.302,99 tonnellate di gesso utilizzato per trattenere parte del particolato prodotto (come le precedenti), 109.877,7 mc3 di acque di scarico da trattare, utilizzate per lo spegnimento delle ceneri, altamente inquinate.

Un aspetto fuorviante è che i sostenitori dell’incenerimento asseriscono che produrre/incenerire Cdr in Enel sia necessario alla chiusura del ciclo dei rifiuti, eliminando lo stoccaggio in discarica: un falso. Tale processo produrrebbe complessivamente 17.552,59 tonnellate di rifiuti tossici (speciali e costosissimi da smaltire) ovvero le ceneri di combustione, oltre alle 22.705,33 tonnellate di inerti iniziali ottenute producendo il Cdr, per complessive 39.464,08 ton. da stoccare in discarica (il 29,84% del totale dei R.S.U.!). Lavoisier docet per l’appunto.
C’è poi l’”amnesia” generale riguardo alla legge italiana in materia: infatti la normativa prescrive che la raccolta differenziata arrivi, entro il 2012, al 65% (Art. 205, D.Lgs. n.152/06 – pena il commissariamento degli enti locali inadempienti). Quindi chiunque brandisca l’idea che la commercializzazione del Cdr sia una soluzione risolutiva per i guai finanziari del gruppo Acam ragiona nella totale inosservanza della legalità poiché, con tale obiettivo normativo, il prospetto economico di cui sopra cambierà drasticamente come segue: ipotizzando di partire dalla stessa quantità di R.S.U. prodotti (136.873,10 tonnellate), con la differenziata al 65% si avranno da trattare 42.325,24 tonnellate di indifferenziato, da cui si ricaverebbe un quota di Cdr pari a 21.162,62 tonnellate. Presumendo un ricavo dalla vendita pari a 50 €/ton, si ottengono € 1.058.131 e, ricordando che serve almeno il 5% del carbone utilizzato in Cdr, rispetto a 21.162,62 tonnellate di Cdr, risulteranno mancare “all’appello” ben 46.337,38 tonnellate da reperire altrove, magari importandole da fuori provincia! Una follia.

Insomma, chiunque sostenga l’opportunità economica di incenerire il Cdr in Enel lo fa con il mero scopo di sostenere una speculazione ad appannaggio di pochi (Enel risparmia in termini di combustibile e la commessa che adatterà l’impianto ne trarrà vantaggi), sulla pelle di tanti cittadini (il bacino censito sulla base che le emissioni insistono su un raggio di 20 km corrisponde è di circa 130.000 abitanti, ovvero intorno al 60% della popolazione provinciale!), senza un reale vantaggio economico per il gruppo Acam e con l’esigenza di creare alla Spezia un hub del rifiuto, poiché quelli prodotti in loco non basterebbero per sostenere tale operazione.

Tutto ciò basta ed avanza per dimostrare che incenerire il Cdr spezzino non gioverebbe alla collettività, ne in termini di servizio, ne in termini economici, tanto meno in termini di compatibilità ambientale, tuttavia i recenti fatti di cronaca mettono in luce l’ulteriore pericolo che viene dall’incenerimento, riguardo la salubrità degli ambienti di vita, arrivando a mettere in serio dubbio anche la credibilità dei controlli che vengono effettuati sugli impianti stessi. Gioia Tauro, Vercelli, Pietrasanta, Brindisi hanno in comune l’angosciante vicenda di sequestri, da parte dell’autorità giudiziaria, a causa di probabili manomissioni ai sistemi di controllo delle emissioni. Quelle che Mario Sanna ha definito “Ciminiere taroccate” in un servizio per Rainews24, furono garantite alle popolazioni come impianti efficienti e sicuri, la cui compatibilità era garantita e certificata in seguito alle tanto invocate valutazione del caso. Non ultimo il caso di Colleferro (Roma): impianti dove venivano conferiti rifiuti violando “tutte le norme previste” posti sotto sequestro ed arresti per associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, falso, truffa aggravata ai danni dello Stato, accesso abusivo a sistemi informatici, violazione dei valori limite delle emissioni in atmosfera e prescrizione delle autorizzazioni e favoreggiamento personale.

La nostra risposta deve essere che il ciclo dei rifiuti vada gestito eliminando ogni possibilità di incenerimento, conducendo un’azione politica che tenda a far produrre meno rifiuti, riciclare quanto più possibile (traendo guadagni dai consorzi di filiera), riusare i materiali, sovvenzionare la riparazione ed il recupero, scoraggiare le cattive abitudini e premiare le buone pratiche, utilizzando l’impiantistica (Saliceti e Boscalino) per il recupero (Trattamento Meccanico-biologico) ed il compostaggio (non per la produzione di Cdr), fare ricerca ed analizzare la frazione residua in modo da intervenire sul sistema produttivo, insomma in poche parole sostenere ed applicare la strategia “Rifiuti Zero”, destituendo il modello di società “usa&getta”, che ha fallito economicamente ed ambientalmente, e puntare su un modello di sostenibilità che faccia prevalere la filiera corta, il riciclo ed il riutilizzo dei materiali e che sottenda una cultura per la quale il mondo in cui viviamo non sia considerato inesauribilmente infinito, ma da preservare per le generazione future.

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William Domenichini

William Domenichini

Nato alla Spezia nel 1978, è dipendente di azienda. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura,, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano "Fulmine è oltre il ponte" (Ed. Marotta&Cafiero)..

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