O.G.M. il reato, le pene e le tutele

O.G.M. il reato, le pene e le tutele

di Diana Tazzini

Dopo il nuovo no alla fine del divieto di coltivazione di Mais O.G.M. degli Stati Membri torna attuale il tema degli Organismi Geneticamente Modificati. Nel luglio del 2003 il governo italiano, in attuazione di due direttive comunitarie, con il D.Lgs n. 224 disciplina ex novo, rispetto alla normativa del ’93, tale materia. Per OGM la comunità scientifica da sempre intende qualsiasi organismo diverso dall’essere umano il cui materiale genetico venga modificato da quanto si verifica in natura.

Il D.Lgs. n. 224/03 dispone una serie di misure atte a proteggere la salute umana, animale ed ambientale la cui violazione configura in alcuni casi un illecito amministrativo ed in altri un reato penalmente perseguibile.

Tre gli articoli di interesse: il 34 rubricato dell’emissione deliberata di O.G.M. nell’ambiente; il 35 rubricato dell’immissione di O.G.M. sul mercato ed il 36 disciplinante il pericolo di danno per la salute pubblica o per l’ambiente cagionato dall’emissione deliberata o dall’immissione di O.G.M. sul mercato.

Ai sensi dell’art. 34 D.Lgs. n. 224/03 chiunque intenda effettuare un’emissione deliberata di O.G.M. nell’ambiente è tenuto a presentare preventivamente una notifica al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio. Alla notifica segue un’istruttoria ed una eventuale autorizzazione da parte dell’Autorità adita a tale emissione.

Quattro sono le ipotesi di illecito, per altro trattasi di illecito contravvenzionale, che, stante tale disciplina, possono integrarsi:

a) emissione di O.G.M. senza notifica

La condotta di chi effettua una emissione di O.G.M. nell’ambiente senza aver prima effettuato la prescritta notifica è punita alternativamente con la pena dell’arresto da 6 mesi a 3 anni o con l’ammenda sino ad € 51.700;

b) emissione di O.G.M. senza autorizzazione senza attendere la relativa autorizzazione

La condotta di chi pur avendo provveduto alla necessaria notifica emette O.G.M. senza attendere la relativa autorizzazione o in difetto di tale autorizzazione è punita alternativamente con l’arresto da 6 mesi a 2 anni o con l’ammenda sino ad € 51.700. La ratio della minore entità della sanzione penale è data dal fatto che nell’ipotesi sub a) il Ministero dell’Ambiente non solo non ha dato l’autorizzazione ma è all’oscuro di tutto;

c) emissione dello stesso O.G.M. senza notifica o senza autorizzazione

La condotta di chi ha già effettuato un’emissione di O.G.M. nell’ambiente nel rispetto della prescritta normativa ma ne effettua una nuova anche dello stesso organismo senza ripercorrere tale procedura è punita con le stesse pene rispettivamente di cui alle ipotesi sub a) e b). La ratio di questa rigidità è dovuta alla necessità di tenere costantemente aggiornato l’autorità competente in ordine ad una materia in evoluzione che anche in un lasso di tempo relativamente breve potrebbe aver raccolto elementi capaci di portare al diniego di una autorizzazione magari precedentemente concessa di un’emissione di O.G.M. nell’ambiente;

d) omessa adozione di misure urgenti in caso di modifiche dell’emissione

La condotta di chi, in violazione di norme di legge, omette di comunicare al Ministero dell’Ambiente le prescritte informazioni e quella di adottare comunque le misure urgenti atte ad arginare il pericolo è punita nella prima ipotesi a titolo di illecito amministrativo con al sanzione pecuniaria da € 7.800 ad € 46.500, nella seconda ipotesi a titolo di contravvenzione anche in questo caso con la pena alternativa dell’arresto sino a 2 anni o dell’ammenda sino ad € 51.700;

Stesse ipotesi di reato e stesse pene sono lo scenario che si apre anche per chiunque immette sul mercato O.G.M. senza notifica o senza autorizzazione, con la differenza che per immissione la normativa intende la messa a disposizione di terzi dell’O.G.M. dietro compenso o gratuitamente. In questa fattispecie di reato, sancita e disciplinata dall’art. 35 D.Lgs. n. 224/03, nell’ipotesi di nuova immissione sul mercato, laddove la prima fosse stata effettuata in uno Stato Membro, muta l’Autorità competente a ricevere la notifica ed a concedere la relativa autorizzazione che non sarà più il Ministero dell’Ambiente ma l’Autorità competente per quello Stato Membro.
Il successivo art. 36 D.Lgs. n. 224/03 punisce con la pena non più alternativa dell’arresto da 6 mesi a 1 anno e con l’ammenda da € 2.600 sino ad € 25.900, la condotta di chi, con l’emissione o l’immissione di O.G.M. sul mercato, provoca pericolo per la salute umana e ambientale, prevedendo a carico del soggetto agente anche l’obbligo della bonifica dei luoghi, del loro ripristino unitamente al risarcimento del danno non altrimenti eliminabile.
Due le considerazioni da fare. Innanzitutto va precisato che il reato di cui all’art. 36 non assorbe né quello disciplinato dal 34 né quello del 35 creando così un’ipotesi di concorso di reati. Ciò significa che chiunque immetta sul mercato O.G.M. senza la prescritta autorizzazione cagionando così un pericolo per l’ambiente risponderà sia del reato di cui all’art. 35, comma 2, che di quello di cui all’art. 36, comma 1, D.Lgs. n. 224/03.
Ulteriore specificazione è che la norma stabilisce che il reato in oggetto viene assorbito da un eventuale reato più grave che il soggetto agente, con una medesima condotta, potrebbe integrare.
Per fare un esempio: se in conseguenza dell’immissione su mercato di un O.G.M. si verifichi un’epidemia il soggetto agente risponderà del solo delitto (non più contravvenzione) di cui all’art. 438 c.p. perché più grave rispetto alla contravvenzione di cui all’art. 36 D.Lgs. n. 224/03.
Da notare che il reato in oggetto è un reato di pericolo e non di evento non essendo necessario, stando al tenore della norma, che il danno alla salute o all’ambiente si sia verificato nella realtà, essendo sufficiente la loro messa in pericolo.
Per quanto concerne poi il danno per l’ambiente, intenso qui in senso estensivo di qualsivoglia forma vegetale ed animale, va ricordato che non tutte le tipologie di pericolo rilevano ai fini dell’art. 36, essendo espressamente richiesto un pericolo rilevante e persistente e quindi di notevole entità e duraturo. Va da ultimo sottolineato che la condotta del responsabile del reato non deve necessariamente essere commissiva, ovvero consistere in un’azione, ben potendo il reato essere integrato con una mera condotta omissiva come l’inerzia.

La tutela delle associazioni ambientaliste

In tema di reati ambientali sono stati molti i dibattiti e gli orientamenti giurisprudenziali di merito e di legittimità che si sono susseguiti negli anni in ordine alla legittimazione passiva delle associazioni ambientaliste nei procedimenti penali in atto

Prima della legge n. 349/86

Prima dell’entrata in vigore della legge n. 349/86, istitutiva del Ministero dell’ambiente, la giurisprudenza di merito aveva risolto affermativamente la questione statuendo la possibilità per tali associazioni di costituirsi parte civile ogni qualvolta il reato offendesse lo scopo o il fine di quella associazione. Per questa via, nei primi ani ‘80 era stata ritenuta ammissibile la costituzione di parte civile di una sezione locale del WWF, trattandosi di ente titolare di interessi collettivi giuridicamente tutelabili, in un processo penale per lottizzazione abusiva.
Contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di merito la Cassazione in quegli anni affermava l’insussistenza in capo alle associazioni di un qualsivoglia danno, patrimoniale e non, tale da giustificare la loro costituzione di parte civile, tanto è vero che nel 1986 la Suprema Corte escludeva il WWF Fondo Mondiale per la Natura dalla costituzione di parte civile e dalla relativa richiesta dei danni in un procedimento per il delitto di avvelenamento colposo di acque destinate all’alimentazione adducendo in capo all’associazione la sussistenza di un semplice interesse diffuso, per cui dal delitto non derivava all’ente un danno patrimoniale o non patrimoniale ricollegabile alla lesione di tale diritto .

La legge n. 349/86 e il T.U. n. 267/2000

L’art. 18 della l. n. 349/86 stabiliva che l’azione di risarcimento del danno ambientale doveva essere promossa dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali.
Alle associazioni ambientaliste veniva riconosciuto: – dal comma 4 un potere di denuncia dei fatti lesivi di cui venivano a conoscenza;
– dal comma 5 la facoltà di intervenire nei giudizi per danno ambientale anche in sede penale.
Il T.U. n. 267/00 ampliava le prerogative delle associazioni riconosciute (il riconoscimento di dette associazioni era stabilito dall’art. 13 della legge n. 349/86), attribuendo alle stesse una legittimazione a stare in giudizio in sostituzione dello Stato o degli altri enti territoriali nel cui territorio si trova il bene oggetto del fatto lesivo. Era stata sancita la loro legittimazione sussidiaria.

La vigente normativa: il D.Lgs. n. 152/2006

Il nuovo Testo Unico in materia ambientale ha abrogato l’intera disciplina precedente, ivi compreso l’art. 18 della l. n. 349/86 eccezion fatta per il suo comma 5 ovvero per quella parte della normativa che prevedeva il potere per le associazioni, individuate ex art 13 della medesima legge, di intervenire nei giudizi per danno ambientale e di ricorrere in sede amministrativa per l’annullamento di atti illegittimi. (per dovere di completezza si fa presente che il T.U. in commento disciplina anche tutta la parte relativa ai poteri di denuncie ed osservazioni da parte delle associazioni ambientaliste al Ministero dell’Ambiente).

In conclusione

Grazie anche alla concezione moderna di danno sotto la triplice dimensione di personale, sociale e pubblico, la Cassazione penale nel 2006 e nel 2007, anche sotto la vigente, ed in apparenza più restrittiva normativa, sembra non avere difficoltà alcuna a garantire l’accesso per le associazioni ambientaliste alla giustizia penale nel caso lamentino la lesioni di un interesse proprio sia costituendosi parte civile sia esercitando diritti e facoltà attribuiti alla persona offesa dal reato, a patto che di questa abbiano uno specifico consenso.

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redazione

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