Vicenza e Dal Molin: Togliete i cannoni dai nostri fiori

Vicenza e Dal Molin: Togliete i cannoni dai nostri fiori

di Daniela Binello

Vi ricordate di Vicenza? La città d’arte in cui forse molti di voi hanno piacevolmente soggiornato per andare a visitare i capolavori del Palladio, come il teatro Olimpico e le ville che il grande architetto veneto progettò nella seconda metà del Cinquecento. Dalla Rotonda a villa Trissino, e altre meraviglie disseminate nei dintorni, vi sarete certamente fatti un’idea del patrimonio culturale, riconosciuto dall’Unesco, che vale un tesoro in questo lembo del nordest.
A un tiro di schioppo dal centro storico, poi, avrete anche ammirato la settecentesca villa Valmarana ai Nani, con gli affreschi dei due Tiepolo (Giambattista e suo figlio Giandomenico). Ora, se fate mente locale, vi ricorderete anche di quella triplice piazza dei Signori dove vi siete seduti a bere un caffé. Lì vi sarete accorti dell’imponenza della basilica palladiana con il loggiato e la cupola a carena di nave.

Ebbene, a un chilometro e mezzo in linea d’aria da quella cupola sorgerà la nuova base militare americana, annessa all’area dell’aeroporto civile Dal Molin (non più attivo).
Insomma, per chiunque si ricordi di Vicenza, che sia per il Palladio o per il più prosaico Tocai, non sfuggirà lo stupore d’immaginarsela città supermilitarizzata e concessa a una potenza straniera, gli Stati Uniti d’America, per farci un po’ quello che vuole.

Da due anni e mezzo Vicenza vive una situazione di particolare sofferenza. Da quando, cioè, è filtrata quasi per caso la notizia che nel precedente governo Berlusconi si era imbastito un accordo per la concessione agli americani di una nuova area per costruire quello che le fonti ufficiali continuano a chiamare ampliamento della base americana già esistente, la Ederle, ma che con tutta evidenza non si configura affatto come un allargamento, essendo la Ederle dislocata a ben 7 chilometri e mezzo da quella che sarà la “Ederle 2” (così i giornali hanno ribattezzato l’area del Dal Molin).
Come prese avvio questa storia? Dopo decine e decine di riunioni, un passo decisivo fu la lettera che alla fine del 2005 lo Stato Maggiore della Difesa italiano scrisse al Pentagono citando esplicitamente l’approvazione dell’allora ministro della Difesa Antonio Martino per la concessione dell’area del Dal Molin. Da quel momento il Pentagono mise in moto una macchina che ha già speso 10 milioni di dollari per lo studio di fattibilità e la progettazione della base.

I governi cambiano, alimentando le attese, ma il 14 giugno 2007 le speranze dei vicentini che sostengono i Comitati “No Dal Molin” subirono un duro colpo apprendendo dalle dichiarazioni dell’ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli alla stampa che: “L’approvazione dell’Italia al progetto Dal Molin, già espressa dal precedente governo, è stata ribadita dal presidente Prodi a gennaio e maggio. Il premier ne ha poi dato ulteriore conferma durante l’incontro con il presidente Bush il 9 giugno 2007”. Romano Prodi, infatti, riconfermò la concessione dell’area del Dal Molin agli americani ritenendolo un problema di sicurezza nazionale e non di pertinenza decisionale locale.

Un’altra batosta è arrivata nell’ottobre 2008, con la bocciatura del Consiglio di Stato del referendum fondato sulla proposta del sindaco di Vicenza Achille Variati (Pd) di acquisire l’area del Dal Molin “sdemanializzandola”. Il Consiglio di Stato ha decretato che “sdemanializzare” l’area non è possibile e, quindi, che il referendum era inutile.
Il 5 ottobre 2008, perciò, i promotori di quello che avrebbe dovuto essere un referendum hanno dato vita a una consultazione popolare (priva di effetti giuridici) che ha portato a votare nei gazebo un vicentino su quattro fra gli aventi diritto. Risultato della consultazione: 23mila voti favorevoli all’acquisizione dell’area che confermano il diritto della cittadinanza di partecipare alle decisioni democratiche e che dicono che la politica non può sottrarsi al confronto con il territorio.

Ed ora cosa succederà? Come continuerà questa lotta che dura da due anni e mezzo e che adesso vede uno spiraglio nello stop di tre mesi ordinato dal Tar (Tribunale Amministrativo Regionale) per accertamenti di tipo estetico-paesaggistico sul progetto di costruzione della nuova base americana nell’area del Dal Molin? Poi, però, arriveranno le ruspe.
L’amministrazione vicentina ed i comitati “No Dal Molin” chiedono che sul progetto sia effettuata la cosiddetta V.I.A. (valutazione impatto ambientale) poichè ritengono che la costruzione della base produrrebbe un grave inquinamento di terra, acqua e aria.

Ma il nuovo presidente Barack Obama potrebbe cambiare idea sui 475 milioni di euro stanziati dal Congresso americano per costruire la nuova base a Vicenza? Sono in molti a sperare che in questo momento di crisi economica l’America di Obama abbia altre priorità su cui investire.

DOMANDE E NUMERI

– Nella nuova base Dal Molin gli Stati Uniti vogliono riunificare la 173a Brigata aerotrasportata, attualmente dislocata in parte in Germania. Questa Brigata di parà, impiegati in Iraq e Afghanistan, offre altissime prestazioni combat e dispone di sofisticati armamenti radiocomandati, come gli aerei spia Shadow 200 (senza pilota).

– Attualmente a Vicenza vi sono 1.326.000 mq occupati da insediamenti americani. Con la nuova base del Dal Molin (1.723.000 mq) saliranno a un totale di 3.049.000 mq.

– Gli attuali insediamenti americani a Vicenza sono: Caserma Ederle, Villaggio americano, Sito militare sotterraneo di Fontega di Arcugnano, Sito militare sotterraneo Pluto (= plutonio) di Longare, Centro autoveicoli di Torri di Quartesolo, Centro logistico di Torri di Quartesolo-Lerino (in totale 1.326.000 mq).

– Una presenza militare americana così massiccia, passerà dagli attuali 2mila a4.600 uomini, è da molte parti considerata ad alto potenziale per attacchi terroristici sull’intera provincia di Vicenza, con possibili ricadute negative sul turismo in caso di avvisaglie di pericolo.

– Oltre a tutto questo, possono verificarsi incidenti durante le operazioni all’interno dei campi militari. Nel 1992, nel sito militare sotterraneo Pluto di Longare si sono verificate fuoriuscite di sostanze radioattive da ordigni nucleari. Studi statistici della Asl territoriale rilevano l’aumento di tumori linfatici (leucemia) nella popolazione residente in quell’area (21,9 casi di mortalità ogni 100mila abitanti su una media di 5 nelle altre zone del Veneto).

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redazione

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