Černobyl’ – Fukushima, solo andata

Černobyl’ – Fukushima, solo andata

di William Domenichini

Al netto di interessi di bottega, di sondaggi d’opinione e di golpe antireferendari a suon di decreti, pare che i fatti, e la storia, compaiano e scompaiano come la modulazione di frequenza di un canale televisivo. Così, in poco tempo, ci siamo dimenticati che il 26 aprile 1986, durante l’esecuzione di un test di sicurezza, esplose il reattore 4 della centrale nucleare di Černobyl’, in Ucraina ed una nube radioattiva ricadde su una vasta area, contaminandola in quantità via via minori, dall’Europa fino alle coste orientali del Nord America. Nel raggio di 30 chilometri 340.000 persone evacuarono l’area tristemente nota come Quarta Zona[1], ed il rapporto redatto dalle agenzie ONU, dall’OMS all’IAEA, ufficializzò 65 morti accertati, 4.000 decessi per tumori e leucemie, non direttamente riconducibili al disastro ma alle sue conseguenze radioattive, nell’arco di 80 anni[2]: un bilancio apocalittico, peraltro contestato da altri rapporti ancora più catastrofici (TORCH valuta 60.000 decessi[3], Greenpeace 6.000.000 decessi globali[4]), dell’allora peggior incidente nucleare della storia, ultimo di una serie che incrinò il mito dell’energia atomica.

A pochi anni dalla tragedia planetaria di Černobyl’, tutt’oggi irrisolta, “la notte atomica ci ha rimboccato le palpebre[5] e la schiera di esegeti dell’atomo si rinfoltì, grazie a chirurgiche operazioni mediatiche, socialmente anestetizzanti. Il mito tornò ad essere tale, grazie ad ex-ambientalisti d’assalto divenuti coscienziosi e pragmatici realisti, a governi compiacenti e conniventi con classi imprenditoriali sempre più vampiresche nei confronti di ciò che è meno rischioso depredare, come il bene comune. L’ennesimo inganno globale, gemello della crescita infinita e parente della finanza creativa, convince gran parte dell’opinione pubblica con dati sulla sicurezza di pochi e selezionati istituti, con metodi di analisi che escludono i gravi incidenti dalle statistiche, usando due pesi e due misure: si valuta il nucleare con modelli teorici incoraggianti ed altre tecnologie con dati storici più restrittivi. Inconsciamente chiunque sa che il nucleare è di gran lunga più pericoloso tra le tecnologie conosciute, ma dagli anni ’90 il mantra che plasma le opinioni pubbliche globali è “impedire che la paura vinca sulla ragione”, ed il sonno della medesima genera altri reattori.

Chi hanno dimenticato di convincere è Madre Natura, e la storia (nucleare) si ripete per la seconda volta: la prima in tragedia, la seconda anche. L’11 marzo 2011 le conseguenze di un terremoto di magnitudo 9.0 mettono in crisi tre centrali nucleari giapponesi, sulla riva del Pacifico: Onagawa, Fukushima Daini e Fukushima Daiichi. In quest’ultima la situazione precipita per la perdita di fluido refrigerante ed esplodono tre reattore. Il reattore 3 contenente MOX, un combustibile particolarmente pericoloso, prodotto riciclando plutonio e scarti dei processi di arricchimento dell’uranio, proveniente dall’impianto di stoccaggio a La Hague e consegnato da Areva[6] in tre mandate: marzo 1999, 2010, 2011. Dopo l’incidente le analisi su campioni di suolo, oltre 30 chilometri dalla centrale, presentano valori di cesio fino a 2,19 Mbq/m3, mentre la zona di evacuazione a Černobyl’, tutt’ora inaccessibile[7], si registravano contaminazioni per 0,55 Mbq/m3. La radioattività nei bunker dei reattori arriva a 253 Sv/h[8], quando il limite di dose per un lavoratore è di 20 mSv/anno[9] ed il cadavere atomico di Fukushima infetta anche il mare: a 20 chilometri dalla costa, un chilo di sedimenti del fondale registrano 90 MBq di cesio-134 e 52 MBq di iodio-131[10], e l’IAEA teme che l’acqua radioattiva raggiunga in due anni gli USA. Fukushima raggiunge il 7° livello INES, come Černobyl’, ma con tre reattori fuori controllo, 185.000 persone evacuate[11]. Tutto il Giappone è in ginocchio: 66 reattori operativi (su 136) e la produzione elettrica è dimezzata[12].

Fallì la disciplina sovietica e fallisce la precisione nipponica. Nucleare? Convinceremo gli italiani, diceva quel tale, ma se i giapponesi non riescono a costruire un reattore totalmente sicuro, chi può riuscirci? Una domanda retorica che suppone le menzogne che sorreggono la chimera atomica.

Il nucleare mantiene la dipendenza da materie prime, in primis l’uranio, un combustibile che agli attuali ritmi di consumo si esaurirà nei prossimi decenni. Ogni anno i 440 reattori in funzione nel mondo consumano circa 69.000 tonnellate di uranio[13]. La prospettiva al 2030 è quella di altri 545 reattori (61 in costruzione, 158 pianificati e 326 proposti[14]), il doppio dell’uranio attualmente in consumo, rapinando ulteriormente i paesi in via di (perenne) sviluppo: Areva lo ha estratto dalle miniere del Niger per 40 anni, utilizzando 270 miliardi di litri d’acqua, con impoverimento e contaminazione della falda acquifera e per le strade della città mineraria di Akokan la radioattività è circa 500 volte superiore alla media, con tassi di mortalità doppi rispetto al resto del paese[15].

Per non parlare della dipendenza dal petrolio, visto che con il nucleare si produce solo energia elettrica, fetta importante della torta energetica, non certo l’unica. La Francia, terra promessa dell’atomo, con i suoi 58 reattori produce il 75,2% dell’energia elettrica ma ha i consumi di petrolio pro capite più alti d’Europa[16], per il semplice motivo che per spostarsi usa idrocarburi. Inoltre la Francia vive un vero paradosso: i reattori non si possono regolare al variare della domanda come altri sistemi di generazione, quindi il sistema elettrico è molto rigido e non a caso nessun governo francese si è azzardato a privatizzare EDF[17]. Così le centrali nucleari transalpine producono un surplus in ore di minimo per coprire le richieste della rete, vendendolo a prezzi molto bassi, mentre in situazioni di picco devono comprare elettricità dall’estero. Le centrali elettriche italiane sono in grado di erogare una potenza massima netta di 100 GW[18], con una media disponibile alla punta di 67 GW e contro una richiesta massima storica di 56 GW[19]. In altri termini siamo elettricamente autosufficiente, anzi, in eccedenza di potenza installata, rispetto alla domanda media, del 55%, ma da quando il settore è stato privatizzato, il sistema è disomogeneo, inefficiente, la rete perde mediamente il 6% dell’energia, così i costi della nostra elettricità sono tra i più alti d’Europa e, per paradosso, ci conviene mantenere centrali spente, o a basso regime, comprando energia dall’estero (circa il 13%). Schizofrenie del mercato, ma la patologia italiana è ben più emblematica, visto che il petrolio importato viene utilizzato, con grandi sprechi, soprattutto in usi insostituibili dal nucleare: un terzo dei suoi derivati alimenta i trasporti, un gigante totalmente sbilanciato sull’autotrazione (per di più privata), un altro terzo riscalda edifici energicamente colabrodo, il resto viene inglobato da attività produttive energivore. Sfatato il mito nucleare come cura del global warning?

Dall’estrazione alla lavorazione per ottenere un chilogrammo di uranio occorre una tonnellata di minerale. Tralasciamo che la costruzione delle centrali stesse richiede enormi quantità di cemento e acciaio? Trascuriamo le fasi di stoccaggio delle scorie e di decommissioning, ovvero di dismissione delle centrali? La somma fa il totale e produrre energia elettrica con il nucleare significa diminuire le emissioni di CO2 di circa il 30% rispetto ad una centrale a gas[20], non di eliminarle, ricordandoci il trucco degli inceneritori che fanno scomparire i rifiuti bruciandoli. I 440 reattori nel mondo coprono meno del 6% dell’energia globale[21], quindi per avere un significativo abbattimento di gas serra, il nucleare dovrebbe coprire almeno il 20% del fabbisogno energetico mondiale, risultato raggiungibile solo con l’impressionante traguardo di 35 nuove centrali all’anno per i prossimi 60 anni[22].

In ogni caso, qualunque valutazione che non tenga conto dell’intero ciclo di vita di un impianto nucleare, differendo oneri di stoccaggio e decommissioning, non è realistico. Così, a partire dagli enormi costi di costruzione, le centrali nucleari sono un affare solo con ingenti sovvenzioni pubbliche: il costo di costruzione del reattore EPR che Areva sta sostenendo ad Olkiluoto (Finlandia), è schizzato da 3,3 a 5,5 miliardi di euro e l’inaugurazione è slittata di 4 anni: la costruzione dei nuovi reattori aumenterà diffusamente per costi e tempi e, nell’ipotesi di un incremento del 20% delle spese e di ritardi medi di due anni, il prezzo dell’energia dovrà essere almeno 70 €/MW per giustificare gli investimenti[23], stime ottimistiche se si prende l’esempio finlandese. Quindi, oltre ad essere sconveniente dal punto di vista “costruttivo”, il nucleare è svantaggioso anche per i prezzi al consumo: l’elettricità nucleare costa il 16% in più (72,8 €/MWh) di quella prodotta con il gas (61 €/MWh) e il 21% in più di quella prodotta con il carbone (57,5 €/Mwh)[24], senza dimenticare che negli USA, oggi, l’energia elettrica solare costa meno di quella nucleare (16 ¢/kWh)[25], ed entro il 2013 il sorpasso avverrà anche nei confronti delle fonti fossili.

Nella tabella dei costi spariscono le voci riguardanti la sicurezza degli impianti e la salute degli esseri umani che vi lavorano, o che vi vivono intorno, diventando invisibili alle statistiche. Un esempio tra i tanti: nel 2009 una tubatura sotterranea della centrale di Oyster Creek (New Jersey, USA) ha una perdita di trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno, contaminando la falda che approvvigiona uno degli acquedotti principale[26]. Danni e beffe, il gestore dell’impianto, la Exelon Corporation, sostiene che i documenti sull’incidente contengono informazioni riservate[27], quindi non divulgabili. In questa follia ben 27 delle 104 centrali nucleari statunitensi hanno avuto perdite di trizio[28], con conseguenze ovvie. Esposizioni a radiazioni  durante le gravidanze[29], seppur di piccole entità, sono alla base di aumenti di leucemie nei bambini sotto i 5 anni che vivono attorno alle centrali nucleari[30], dimostrazione che nel “normale” funzionamento avvengono perdite, ufficialmente mai menzionate[31]. Negli ultimi 40 anni, intorno a 27 impianti nucleari tedeschi, si sono verificati circa 20.000 aborti spontanei, un calo significativo di nascite femminili, ed un netto aumento di deformità e tumori infantili. Solo nel raggio di 5 chilometri dalla centrale nucleare di Krümmel[32] è stato documentato un aumento del 56% dei casi di leucemia infantile, nel decennio 1984-1993.

Costi quel che costi dunque, ma con molte amnesia, probabilmente volute. Vale la pena, per esempio, dimenticarsi delle scorie, ovvero tutti i materiali usati per il funzionamento delle centrali e contaminati dalle radiazioni. Nessun paese ha ancora trovato una soluzione sicura, anzi, aumentano i traffici illegali gestiti da ecomafie diretti nei paesi poveri ed una questione ambientale diventa eufemisticamente generazionale: la radiotossicità è tale per periodi che vanno dai 300 al milione di anni, a seconda degli elementi radioattivi. Un tema tanto economico quanto strategico: ad oggi la maggior parte dei combustibili esausti vengono stoccati in depositi provvisori, in virtù della natura intrinsecamente dual-use del nucleare. Dal civile al militare, chi ha le scorie le usa per costruire ordigni atomici, come la Francia, il cui potente arsenale nucleare è funzionale all’ammortamento dei costi del nucleare civile. Dalla Cina al Pakistan, passando per Russia, USA, Giappone, India, Argentina, fino all’Iran, tutte le implicazioni geopolitiche che vengono sottaciute, o strumentalizzate. Dunque nasce prima l’uovo o la gallina? Il battesimo del nucleare furono le stragi di civili ad Hiroshima e Nagasaki, ai quali seguì una folle corsa che oggi conta 22.600 testate atomiche attive[33], dimostrando che la tecnologia civile deriva da applicazioni militari.

In questo quadro gli interessi privati sono enormi ed inversamente proporzionali a quelli collettivi: chi si farebbe sfuggire affari colossali con zero rischi e margini di ricavo tanto sicuri quanto abnormi, in condizioni pressoché monopolistiche, aiutati per di più da sovvenzioni pubbliche? Una litania: socializzare le perdite, in questo caso anche umane, e privatizzare i ricavi. La TEPCo, la più grande compagnia elettrica del Giappone, non ha mai cambiato rotta nonostante le documentate criticità dei suoi impianti: nel 2004 quattro operai muoiono per una fuga radioattiva a Mihama, nel 2006 un incidente simile a Fukushima, nel 2007 a Kashiwazaki-Kariwa 1.135 litri d’acqua contaminata finiscono in mare[34] e nel 2011, dopo il disastro di Fukushima, arriva la beffa: per pagare i risarcimenti, circa 600 milioni di dollari, l’azienda taglia i salari dei lavoratori del 20%. La bandiera bianca sventola invece sul grattacielo della Tohoku Electric Power Company, la quarta utility elettrica nipponica, non per carità sociale ma per necessità: 220 azionisti dichiarano che «gli incidenti in qualunque impianto nucleare possono portare a pericoli che non possono essere contenuti da qualsiasi società», e chiedono, all’assemblea degli azionisti, la chiusura delle centrali di Onagawa e Higashidori[35].

Non si può certo dimenticare chi volesse coltivare prospettive occupazionali nell’ambito di una centrale nucleare: salvo il fatto che il gioco valga la candela, per costruire un reattore EPR servono 2.500 lavoratori, 500-800 per la sua gestione[36]. La Germania entro 10 anni farà a meno del suo 26,1% di energia elettrica nucleare[37] puntando su rinnovabili, efficienza e risparmio energetico, ammodernamento della rete ed investimenti nel settore che conta già oltre 400.000 lavoratori.

Ma la questione nucleare è ben più profonda per limitarsi a raffrontare pro e contro: i processi fisici che stanno alla sua base sono immensamente lontani dal concetto biologico di vita, basti pensare all’enorme densità energetica delle trasformazioni che avvengono in un reattore, annichilenti di ogni equilibrio della biosfera che ci circonda perché incompatibili con ogni suo parametro, i cui danni sono irreparabili tra spazio e tempo, oltre i limiti della nostra stessa esistenza. Josè Saramago scrisse che “il problema principale di questo modello sociale sta nel fatto che il potere economico coincida con il potere politico. L’unico antidoto per invertire il cattivo funzionamento della democrazia è costruire una società critica che non si limiti ad accettare le cose per quello che sembrano ma non sono. Una società che si faccia domande e dica di no ogni volta che è giusto dire no”.

 


NOTE:

[1] “Černobyl’’s Legacy: Health, Environmental and Socio-Economic Impacts and Recommendations to the Governments of Belarus,the Russian Federation and Ukraine”, The Černobyl’ Forum (2003–2005)

[2] Ibidem

[3] “The Other Eeport On Chernobyl” (TORCH), Ian Fairlie, David Sumner, Angelina Nyagu (April 2006)

[4] “Chernobyl, il costo umano di una catastrofe”, Greenpeace (aprile 2006)

[5] “Per combattere l’acne ”, Le luci della centrale elettrica – Canzoni da spiaggia deturpata (2008)

Guarda il viedo: http://www.youtube.com/watch?v=Z8HzwcbeGFE

[6] “Japon: le MOX français partira bien – Enquête sur le transport dont Areva et la France ne préfèrent pas parler”, Greenpeace France (23 marzo 2011)

[7] “High radiation levels found beyond 30-km radius High radiation levels found beyond 30-km radius “, Japan News, Asashi (4 aprile 2011)

[8] Dati Ministero dell’educazione giapponese – http://atmc.jp/plant/rad/?n=1

[9] Rapporto International Commission on Radiological Protection (103/2007) – www.icrp.org/docs/P103_Italian.pdf

[10] “Out flow of fluid containing radioactive materials to the ocean from areas near intake canal of Fukushima Daiichi Nuclear Power”, TEPCo, Press Release (May 07,2011)

[11] Fukushima Nuclear Accident Update Log, IAEA – http://www.iaea.org/newscenter/news/tsunamiupdate01.html

[12] “Japan nuclear plant operations (Japan Atomic to shut unit)”, Reuters ( May 6, 2011)

[13] World Nuclear Power Reactors & Uranium Requirements (aprile 2011)

[14] Ibidem

[15] “Left in the Dust – uranium mining in Niger” – Guarda il viedo: http://www.youtube.com/watch?v=ioRtzOWm07A&feature=player_embedded#at=13

[17] Électricité de France (EDF) è la maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, è un ente pubblico a carattere commerciale e industriale.

[18] “Potenza efficiente degli impianti elettrici di generazione in Italia al 31 dicembre 2009”, Dati Terna – http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=zbW%2bJ05Lwcw%3d&tabid=418&mid=2501

[19] Dati Terna, picco storico in Italia – Energia Elettrica (11 luglio 2007) – http://www.terna.it/LinkClick.aspx?fileticket=KakadQGxqFg%3d&tabid=418&mid=2501

[20] “Secure Energy? Civil Nuclear Power, Security and Global Warming”, Frank Barnaby e James Kemp – Oxford Research Group  (Marzo 2007)

[21] Key World Energy Statistics. International Energy Agency (2010)

[22] Intervista a Jeremy Rifkin: “Il nucleare adesso è morto”, Antonio Cianciullo – La Repubblica (15 Marzo 2011)

[23] Rapporto “New Nuclear, The Economics Say No” (novembre 2009)

[24] Rapporto Fondazione per lo sviluppo sostenibile: “I costi del nucleare”, Gazzetta Ambiente n°5 (2010)

[25] “Solar and Nuclear Costs – The Historic Crossover”, John O. Blackburn (Duke Univeristy, Noth Caroline)

[26] “Tainted nuke plant water reaches major NJ aquifer”, Wayne Parry, Associated Press Writer (7 maggio 2010)

[27] “Tritium found in new leak at Oyster Creek nuclear plant”, Ben Leach (26 agosto 2009)

[28] “Nuclear Power: Radioactive Water Leaks in U.S. Plants go Unchecked”, Greenwire (11 aprile 2011)

[29] “Cancer in children residing near nuclear power plants: an open question”, Giovanni Ghirga – Italian Journal of Pediatrics 2010

[30] “Background information on the KiKK study” (9 dicembre 2007)

[31] “Childhood cancer near nuclear power stations”, Ian Fairlie (23 September 2009)

[32] “Is the human sex odds at birth distorted in the vicinity of nuclear facilities (NF)? A preliminary geo-spatial-temporal approach” – Ralf Kusmierz, Kristina Voigt, Hagen Scherb

[33] Status of World Nuclear Forces 2011

[34] “TEPCo, il godzilla del nucleare”, Greenpeace, 14 marzo 2011

[35] “Shareholders want nuclear plants closed”, NHK World (1° maggio 2011)

[36] “Analisi delle necessità formative per il programma nucleare italiano”, Giuliano Buceti, Stefano Monti (2011)

[37] “Nucleare, i dubbi dell’Europa da Berna a Berlino stop alle centrali”, A.Tarquini . La Repubblica (14 marzo 2011)

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William Domenichini

William Domenichini

Nato alla Spezia nel 1978, è dipendente di azienda. Coordinatore della redazione di InformAzione Sostenibile, da anni coltiva la passione per la scrittura,, contribuendo anche ad altre appzine come L’Indro, Manifesti(amo) e DemocraziaKm0. Coautore del libro/dossier sugli abbandoni delle aree militari “Riconversioni urbane” (!Rebeldia Edizioni), ha pubblicato nel 2018 il romanzo partigiano "Fulmine è oltre il ponte" (Ed. Marotta&Cafiero)..

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