E verrà il giorno che ?…

E verrà il giorno che ?…

di Paola Sartoni

Federico Rampini “Slow economy. Rinascere con saggezza”, edizioni Mondadori 2009
“E venne il giorno” (“The Happening”) , scritto, diretto e prodotto da M. Night Shyamalan, USA 2008

 

E’ appena uscito negli Stati Uniti il rapporto 2010 del “Worldwatch Institute” (da noi sarà pubblicato da Edizioni Ambiente) dedicato quest’anno soprattutto a un’analisi dei consumi. Ingozzarsi di cibo e di merci non fa bene né ai singoli né all’ambiente. Basti solo questo dato d’assieme: i 500 milioni di individui più ricchi del mondo (circa il 7 per cento della popolazione globale) sono responsabili del 50 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica, mentre i 3 miliardi più poveri sono responsabili di appena il 6 per cento delle emissioni di CO2. Come contraltare, ricordo che poco prima del vertice di Copenhagen era uscito sulla Repubblica un interessante articolo di Federico Rampini che costituisce materia di riflessione per tutti quanti ritengono che il miglioramento climatico dipenda anche dai corretti comportamenti individuali. Essere “cittadini ecologici” non è facile, nei fatti. Molto più semplice imputare ad altri comportamenti errati che spesso partono da noi e dalla quotidianità.
Nell’articolo di Rampini si citava l’esempio “virtuoso” della California, con buone prassi da parte di singoli residenti o piccole comunità locali per arrivare, man mano, ai mega-progetti di risparmio energetico Per esempio, “nella Antelope Valley, ai margini del deserto, la cittadina di Palmdale oltre al sole ha un’abbondanza di vento. Così la società privata che ha in appalto la gestione dei parcheggi comunali ha avuto l’idea di installare delle micro-turbine eoliche dentro i parking. L’impatto paesaggistico è nullo, sia perché le pale sono molto basse, sia perché i parcheggi non sono zone di qualità estetica. Basta il parcheggio di un solo ipermercato per produrre 76.000 kilowatt di corrente elettrica all’anno, il consumo energetico del vicinato. Quest’iniziativa è una delle tante idee “dal basso”, che fanno massa critica e stanno cambiando il nostro impatto ambientale”.

Sempre citando Rampini, ecco come si pronuncia l’autorevole rivista New Scientist: “L’attenzione che rivolgiamo ai vertici mondiali sul cambiamento climatico rischia di farci dimenticare questa semplice verità. Qualunque cosa decidano i governi sui tetti alle emissioni di CO2, alla fine i responsabili del disastro ambientale siamo noi, il cambiamento climatico comincia in casa nostra”.

L’indagine-denuncia del New Scientist  elenca i “cinque eco-crimini che commettiamo ogni giorno”. A partire dal risveglio e dal’abitudine al  caffè mattutino. Se si calcola l’energia consumata per coltivarlo, raccoglierlo, trasportarlo dai paesi tropicali, infine azionare la macchina del bar, sei tazzine di espresso al giorno – una dose non rara per l’italiano medio – in un anno generano 175 kg di CO2, cioè quanto un volo Roma-Londra. Un espresso in meno al giorno è già un micro-risparmio del 16%. Poi si passa alla toilette. Anche qui un modesto cambiamento di abitudini può fare una differenza enorme. Ogni kg di rotoloni fatti con carta igienica “riciclata al 100%”, riduce di 30 litri il consumo di acqua e di 3 kilowattora quello di elettricità. 
Terzo eco-crimine: la moda usa-e-getta, i capricci dello stile che riempiono i nostri guardaroba di abiti indossati per una stagione. Negli ultimi 15 anni la produzione mondiale di tessile-abbigliamento è balzata da 40 a 60 milioni di tonnellate, ma un milione di tonnellate di vestiti semi-nuovi finiscono nella spazzatura ogni anno. Quarto delitto ambientale, l’ossessione per la pulizia. In Inghilterra è stato calcolato che solo il 7,5% degli indumenti messi in lavatrice sono davvero sporchi. Una famiglia media che manda quattro o cinque lavatrici a settimana crea più di mezza tonnellata di CO2, una bella fetta dell’emissione media del cittadino europeo (10 milioni). Al quinto posto arriva lo scandalo del cibo buttato via. Questo eco-crimine è moralmente ripugnante. Ma è anche il più diffuso. La famiglia americana media getta via il 30% degli alimenti che ha comprato al supermercato, 48 miliardi di dollari finiscono nella spazzatura ogni anno. Solo il latte fresco buttato via in Inghilterra, per essere prodotto ha creato altrettante emissioni CO2 di 10.000 automobili.

È’ questa consapevolezza che in California ispira un vasto movimento per cambiare le abitudini quotidiane. Vi contribuiscono piccole comunità locali e grandi organizzazioni ambientaliste, capitalisti illuminati e scienziati. Un ulteriore esempio di spreco è quello dell’energia domestica. 
Ogni anno in America si sprecano 10 miliardi di dollari per l’elettricità consumata da apparecchi inutilizzati: i computer che rimangono accesi anche a riposo, i videoregistratori, i caricatori di telefonini. Nascono così associazioni che si occupano del problema. Se i pionieri californiani riusciranno a cambiare i comportamenti collettivi di una nazione, l’effetto può essere sconvolgente. Lo ha calcolato questo studio della U. S. Energy Information Administration: “Se ogni famiglia americana rinuncia a usare l’asciugatrice elettrica si risparmiano 250.000 tonnellate di CO2. Questo equivale e a chiudere 15 centrali nucleari”. Potenza dei consumatori. Neppure Obama potrebbe decidere d’autorità la chiusura di 15 centrali. 
Federico Rampini ci racconta, in questo articolo, ma soprattutto nel suo libro “Slow economy. Rinascere con saggezza”, edizioni Mondadori 2009 , in un viaggio attraverso tre continenti e decine di città, quale forma sta per prendere il nostro futuro.
L’auspicio verso una lenta e inesorabile rivoluzione verde che ci porterà a produrre e a consumare in modo più consapevole;  il desiderio di un “Neo-socialismo” che spinga gli stati ad assumere iniziative politiche più ponderate e attente alla qualità dei servizi, del welfare e della vita in generale;  la rivoluzione tranquilla della “Slow Economy”, nuovo modello di sviluppo dove la crescita a ogni costo non sarà più la prima preoccupazione delle nostre società: sono ipotesi realizzabili nel medio- lungo periodo?

Se Rampini è ottimista, qualcun altro non lo è. Non crede nella capacità di riscatto del genere umano. Il film di M. Night Shyamalan (ricordate “IL sesto senso”?), “E venne il giorno” (“The Happening”), USA 2008, forse non è tra i suoi più riusciti, ma è inquietante nell’apparente normalità. Non vi sono scene di horror splatter, tutto è così apparentemente idilliaco: solo il sussurro del vento, lo stormire delle fronde, l’ondulazione delle messi nei campi coltivati segnano il dramma incombente. Le specie vegetali nell’area più nuclearizzata degli Stati Uniti, il nord est, si stanno ribellando. Emettono tossine che uccidono. La frase inizialmente attribuita ad Einstein, nel film: “”Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita” aleggia nella storia di una coppia ed una bambina che, dopo varie peripezie, si salvano – morti per strada quasi tutti i compagni di fuga – perché l’attacco delle tossine emesse dalle piante si esaurisce improvvisamente. Mentre gli scienziati americani forniscono interpretazioni del fenomeno, ritenendolo un avvertimento della natura contro l’uomo, da essa visto come una crescente minaccia, a Parigi, qualche tempo dopo, nel parco del Palazzo delle Tuileries si ripete l’ecatombe di massa iniziata a New York al Central Park … Non è che l’inizio?
Perché abbinare questi due autori? Perché il pessimismo sulla umana ragione mostrato dal regista bilancia l’ottimismo del giornalista/scrittore e forse a metà tra i due poli sta la possibilità di un realistico cambiamento nel modo di pensare ed agire della specie umana. Troppo spesso, anche tra chi vorrebbe la salvezza del pianeta e si muove portando avanti istanze ambientaliste, i comportamenti quotidiani risentono della convinzione che il nostro standard attuale è irrinunciabile, che di sacrifici personali non se ne parla e – mentre ci battiamo contro la privatizzazione dell’acqua – i nostri rubinetti restano aperti. Spendiamo e spandiamo: abbiamo introiettato un modello che rischia di portarci all’estinzione, per mano nostra o della natura. Oltre ai movimenti e alle iniziative di ripensamento ambientale dobbiamo metterci in gioco noi, in prima persona. Il consumismo sfrenato di prodotti inutili, di manufatti elitari, di simboli di status, di cibo buttato, di erosione della Terra, oltre ad impoverire gli altri, impoverisce l’intero pianeta. E ai consumisti sfrenati che ci governano diciamo, una volta per tutte, di interrompere la spirale perversa. Oppure una Grande Tossina (magari) li seppellirà.

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redazione

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