Il centro di Trisaia e il traffico dei rifiuti tossici verso Medio Oriente e Somalia

Il centro di Trisaia e il traffico dei rifiuti tossici verso Medio Oriente e Somalia

di Daniela Binello

Una notizia di oltre trent’anni fa è recentemente tornata a galla rivitalizzandosi in poche righe battute dall’Ansa nell’ottobre scorso. In primo piano ci sono le attività nucleari che si svolsero in quello che oggi è il Centro Enea-Sogin di Trisaia di Rotondella (Matera), attività che hanno suscitato l’interesse dell’intelligence di mezzo mondo per una località sconosciuta ai più. La vicenda di quell’ex Centro nucleare, degna della trama di un film di spionaggio perchè ci conduce sulle rotte azzurre verso il Medio Oriente e la Somalia, è stata analizzata nell’inchiesta (durata dieci anni) del pm Francesco Basentini della Direzione Distrettuale Antimafia di Potenza che ha chiesto l’archiviazione del fascicolo perchè <<oggi è oggettivamente quasi impossibile ricostruire cosa i tecnici e i soggetti titolari della politica nucleare abbiano fatto all’interno del Centro di Trisaia nel corso degli anni>
La storia risale agli anni ’60-’70, quando a Trisaia di Rotondella si operava il riprocessamento di combustibile nucleare nell’impianto Itrec (ultimato nel 1968, Itrec sta per Impianto trattamento elementi combustibile).
Dopo il referendum del 1991, il Centro Enea-Sogin è stato riconvertito verso attività di ricerca per l’ambiente e il settore agroalimentare, ma sono rimasti tuttora privi di destinazione finale, con un elevato livello di protezione, ben 64 elementi di combustibile irraggiato (finora mai trattati) provenienti dal reattore nucleare americano di Elk River (che venne chiuso nel 1969). Questi 64 elementi sono parcheggiati nella piscina di stoccaggio all’interno del Centro.
L’uranio, prima di entrare nei reattori, viene trattato in impianti che separano la sua parte “fissile” (l’uranio-235, quello che fornirà l’energia) da un “residuo”, anch’esso radioattivo (sebbene molto meno del primo). Questo “residuo” è il cosiddetto “uranio impoverito” (dell’isotopo 235). Trattandosi di un materiale durissimo e resistente trova impiego per corazze di carri armati, proiettili e missili. Tuttavia, quando questo materiale urta l’obiettivo nemico, come nel caso dei proiettili, si incendia, spargendo una polvere finissima di ossido d’uranio sul terreno, la quale emette radioattività. Inoltre, durante la fase di liberazione dell’energia dall’uranio si formano i “prodotti di fissione”, che sono atomi di elementi comuni (cesio, stronzio, iodio) in una forma, però, che sprigiona anch’essa radioattività, facilmente assorbita dagli esseri viventi (umani, animali e vegetali). Unitamente a questi “frammenti”, si formano anche altri elementi radioattivi, come il plutonio, che risultano essere pericolosi e tossici per la salute. L’Enea, però, ha escluso la presenza di plutonio nell’ex Centro nucleare di Trisaia.

L’uranio, accompagnato dai “prodotti di fissione”, dal plutonio e da altri elementi transuranici radioattivi, è perciò conservato dentro “tubi” estratti dal reattore nucleare dopo alcuni anni di funzionamento. Questi “tubi”, pur essendo pieni di materiale radioattivo, possono essere sepolti, sia pure con grande precauzione per evitare che vengano a contatto con l’acqua e gli esseri viventi. Vi sono, poi, speciali accorgimenti per smaltire il calore che si libera continuamente a causa del decadimento radioattivo degli atomi contenuti nei “tubi”.
Intorno a tutti questi “prodotti di fissione” e scorie si è sviluppato un notevole business perchè elementi come il plutonio si possono vendere ai governi che fabbricano bombe atomiche. Il business non è passato inosservato alle organizzazioni della criminalità organizzata.
I “prodotti di fissione” e le scorie radioattive sono presenti anche in Italia. Oltre alle scorie risalenti alle attività dei nostri reattori, l’Italia ne ha importate sotto forma di “combustibile irraggiato” anche dall’estero, come quelle di uranio-torio provenienti da Elk River nel Minnesota. I rifiuti nucleari di “terza categoria” sparsi per l’Italia hanno una radioattività di oltre 7 milioni di gigabecquerel (equivalente a quella di molti chili di radio).

L’inchiesta del pm Basentini si è concentrata su due presunti traffici illeciti: uno dall’Italia verso il Medio Oriente e l’altro dall’Italia verso la Somalia. L’indagine non ha cancellato i sospetti del pm, ma a suo dire non ha permesso di raccogliere prove significative contro otto ex dirigenti del Centro di Trisaia e tre esponenti del clan Musitano della Locride (‘ndrangheta). Fatto sta che, fino a tutti gli anni ’80, in Basilicata c’è stato un viavai di agenti segreti di Cia, Regno Unito, Mossad israeliano e Sismi. Gli agenti spiavano i movimenti del Centro ipotizzando un’esportazione di armi nucleari e materiali strategici che sarebbero finiti in Pakistan e Iraq (al tempo in cui Saddam era un alleato dell’occidente). Il presunto traffico di rifiuti radioattivi, invece, avrebbe coinvolto la ‘ndrangheta, che avrebbe organizzato i “viaggi” di navi, fatte poi affondare, al largo delle coste somale. Sebbene archiviato, questo filone d’inchiesta non può non fare tornare alla nostra memoria il caso irrisolto dell’esecuzione in Somalia, il 20 marzo 1994, della giornalista Rai Ilaria Alpi e del suo cameraman Miran Hrovatin (la Alpi stava indagando su un caso di traffico d’armi e rifiuti tossici che avrebbe riguardato le istituzioni italiane).

Di recente, però, il pentito della ‘ndrangheta Francesco Fonti (ex del clan Musitano) ha permesso di localizzare nel mar Tirreno (di fronte a Cetraro, località nota per la pesca in provincia di Cosenza) una presunta “nave dei veleni”, soltanto che non sono state rilevate tracce di radioattività. Oltre a salpare verso la Somalia, Fonti ha specificato che una parte di fusti con sostanze radioattive sarebbero stati interrati anche lungo la statale 407 Basentana, nel materano, ma non si è trovata traccia nemmeno di questi interramenti.
Fra le altre testimonianze raccolte dal pm Basentini incuriosisce, inoltre, quella di Guido Garelli, ammiraglio di un presunto esercito del Sahara occidentale e agente segreto (a suo dire) per conto di una base dell’intelligence britannica con sede a Gibilterra. Il Garelli, con tripla cittadinanza (italiana, jugoslava e del Sahara occidentale) avrebbe spiato le attività del Centro di Trisaia nel periodo in cui vi si svolgevano stages tecnico-informativi con iracheni e pachistani. Gli inglesi sospettavano che da Trisaia partisse l’esportazione di elementi radioattivi verso quelle destinazioni. Garelli sarebbe stato in “buona compagnia”, dato che come lui, molti altri 007 sarebbero stati in zona per conto di altri Stati. Una parte delle dichiarazioni del Garelli ha trovato, però, un facile riscontro. Lui aveva raccontato di essere rimasto in panne alla periferia di Potenza con la sua Fiat Croma targata ETS 015 EM (ETS sta per Exercice Territorial du Sahara). La vettura, guasta, era stata trasportata al deposito di un soccorso stradale dell’area, destinandola alla demolizione. Vent’anni dopo i Carabinieri hanno effettivamente potuto ricevere dal titolare dell’impianto la targa straniera: ETS 015 EM.

A maggior ragione, perciò, diventa interessante ricordare la testimonianza dell’avvocato Enrico Brogneri, un civilista di Catanzaro, che aveva raccontato in tribunale al giudice Priore quello che aveva visto la sera del 27 giugno 1980, data dell’abbattimento del Dc9 italiano di Ustica. Alle 21.30 il Brogneri vide un aereo militare che a fari spenti e a bassa quota sorvolava il cielo di Catanzaro. Brogneri sostiene, anche in due volumi che ha pubblicato in proprio, che il Dc9 fu abbattuto nel corso di una battaglia aerea intrapresa per impedire che i francesi consegnassero all’Iraq una partita di uranio destinata al reattore nucleare di Osiraq (l’impianto iracheno, costruito con la collaborazione di tecnici francesi e italiani, fu irrimediabilmente danneggiato dall’Air Force israeliana il 7 giugno del 1981). Così spiega Enrico Brogneri: <<Nella lettera che inviai al giornalista Claudio Gatti, autore di Quinto scenario, ho parlato di una possibile strategia dei servizi segreti italiani deviati per cui l’uranio da consegnare all’Iraq fosse stivato dentro un cargo camuffato da normale aereo di linea e che tale cargo procedesse sulla scia del Dc9 dell’Itavia. Ciò significa che forse i due servizi segreti, italiano e francese, erano consapevoli del rischio che stavano correndo i passeggeri del Dc9. Il mio convincimento, infatti, è che l’aereo militare, molto prossimo al Dc9, servisse per depistare l’intelligence israeliana in caso di attacco>>.

Se il passato dell’attuale Centro Enea-Sogin di Trisaia di Rotondella rimane un buco nero, a quanto pare, anche il suo presente non è di conforto, sapendo che vi sono stoccate 64 barre di uranio-torio, più altri rifiuti di terza categoria (circa 3 metri cubi di liquidi ad alta attività), la cui dichiarata pericolosità fa il paio col fatto che potrebbero essere utilizzate per la fabbricazione di armi nucleari, se la ‘ndrangheta riuscisse ad appropriarsene.

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